“Il 2018 per la vicenda del Moby Prince, e di conseguenza per noi familiari delle vittime, è stato un anno importante. Dopo quasi tre decenni dal quel maledetto 10 aprile, la verità cristallizzata dai tribunali si è frantumata grazie alla conclusione della Commissione Parlamentare di inchiesta chiusasi con la precedente legislatura. Ora ben venga il 2019 con una rinnovata speranza di giustizia”. Lo afferma in una nota Luchino Chessa, uno dei figli del comandante del traghetto nonché presidente di una delle associazioni che raggruppa i parenti delle vittime della tragica collusione avvenuta nel 1991 nella rada del porto di Livorno con la petroliera Agip Abruzzo.
“Non più la nebbia come principale causa della collisione e giustificazione del caos dei soccorsi coordinati dalla capitaneria di porto di Livorno – scrive Chessa -, non più morte repentina dei nostri cari in 20-30 minuti, ma ore di tremenda agonia in attesa di soccorsi mai arrivati, aspetto che crea in noi familiari una rabbia infinita. Una turbativa nella navigazione del traghetto e non distrazione e superficialità del comandante, Ugo Chessa. Posizione della petroliera in zona interdetta all’ancoraggio e alla navigazione, strani accordi delle assicurazioni delle due compagnie di navigazione. Un nuovo puzzle costruito in due anni di lavoro e che potrebbe consentire di riaprire una nuova inchiesta”.
Il 2018, sottolinea inoltre Chessa, “lo possiamo considerare un anno importante anche per il recente incontro che come familiari delle vittime abbiamo avuto con il procuratore capo di Livorno, Ettore Squillace Greco, e con la pm Sabrina Carmazzi: nel passato noi familiari delle vittime siamo stati molto critici e duri con la Procura di Livorno, ma la procura è fatta di donne e uomini e noi siamo delusi e arrabbiati con chi a suo tempo non ha appagato la nostra sete di giustizia e ha messo una pietra tombale sulla ricerca della verità mentre dall’incontro con Squillace Greco, che fa parte del nuovo corso della procura di Livorno e che nulla ha a che fare con il passato, si percepisce la sua voglia di capire e agire, se dagli atti della Commissione Parlamentare di inchiesta di prefigurano delle ipotesi di reato ancora perseguibili”. “Ben venga il 2019 – conclude il presidente dell’associazione 10 aprile – un anno pieno di speranze per la vicenda del Moby Prince che ha distrutto la vita di 140 persone, ma che ha anche segnato quella di noi familiari, donne e uomini comuni, cittadini italiani, che chiedono semplicemente di sapere perché una tranquilla e limpida notte di primavera si sia trasformata in una carneficina. Un augurio di buon anno a tutti, nella speranza che si chiuda una volta per tutte una ferita aperta che ha martoriato il senso della democrazia del nostro Paese”.