“Premetto subito che ho perso tutto l’aplomb con cui finora ho detto e scritto di Michela (la mamma di Baressa) e della vicenda che ha portato il tribunale di Viterbo a decidere per l’allontanamento della sua bambina di due anni e mezzo.
Ho ragionevolmente pensato che nonostante tutto, si sarebbe arrivati ad un epilogo felice. Ho pensato davvero con fiducia che le istituzioni potessero essere anche in questo caso più forti di eventuali errori. Ci è stato suggerito di tacere nell’interesse della bambina, siamo stati intimiditi con la minaccia che qualsiasi esposizione avrebbe avuto ripercussioni su madre e figlia. Non era vero: il silenzio serviva solo a depotenziare l’opinione pubblica, a terrorizzare le protagoniste di questo incubo, a costringere le persone perbene e rispettose delle istituzioni a farsi sopraffare”. Parole dure quelle espresse da Patrizia Cadau, consigliera pentastellata del comune di Oristano, circa la vicenda della mamma di Baressa.
“Il risultato ad oggi è che Michela, sfiancata dal dolore è ricoverata in ospedale per un malore, perché comunque non può più sentire sua figlia ne vederla (se non in pochissime condizioni protette in casa famiglia. E a Viterbo. Partendo ogni volta dalla Sardegna.) – continua la consigliera – il risultato ad oggi è che una bambina che adesso ha tre anni, non può vedere sua madre, dopo che nel tempo è stata prelevata con la forza dalla sua casa in Sardegna, è stata privata dei nonni che non ha mai più potuto nemmeno sentire, è stata privata della possibilità perfino di cantare le canzoni che le ricordavano la mamma. Una mamma che, voglio ricordarlo, è stata ritenuta idonea in base alle millemila perizie cui è stata sottoposta dal tribunale stesso che ha ordinato l’affidamento esclusivo al padre, negando perfino gli incontri con la madre. Una mamma su cui non poggia un solo carico pendente o una denuncia di un qualche illecito”.
“Io voglio capire che cosa mai abbia fatto di male questa bambina, per essere odiata così tanto dagli adulti. Quelli che l’hanno portata via, quelli che ne hanno disposto l’allontanamento, quelli che assistevano alle sue urla ogni volta che veniva allontanata dalla madre, e soprattutto quel padre, che in virtù di non si sa bene quale diritto è arrivato a scatenare questo inferno. E poi, noi tutti. Che guardiamo con superficialità e senza troppa convinzione. Adesso credo sia ora di finirla col silenzio e credo sia ora di chiamare le cose con il loro giusto nome: violenza istituzionale – e conclude – che qualcuno si metta la mano sulla coscienza, il presidente del tribunale, il giudice, i servizi sociali, ma soprattutto che qualcuno sia costretto ad esercitare il controllo sui rapporti che legano queste persone. Si sta esercitando un crimine, un abuso ai danni di una bambina di tre anni. Chi tace è complice”.
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