La sezione staccata di Sassari della Corte d’appello di Cagliari ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione per Nicola Amadu, il panettiere di 69 anni che il 9 novembre 2016 uccise la moglie, Anna Doppiu, di 66, bruciandola viva dopo averla massacrata di botte.
Il collegio presieduto dalla giudice Plinia Azzena ha accolto la richiesta della procuratrice generale Roberta Pischedda ribadendo il verdetto pronunciato in primo grado nei confronti dell’impuato, difeso in aula dall’avvocata Letizia Doppiu Anfossi.
La Corte d’appello ha confermato anche tutte le aggravanti riconosciute nella sentenza di primo grado: aver commesso il fatto “contro il coniuge vittima di maltrattamenti in famiglia”, “con premeditazione”, “con l’uso di un mezzo insidioso” e per “aver agito con crudeltà”. “Rinunciare a mia moglie, per me, non era pensabile. Io vivevo per lei e non potevo accettare la sua decisione di separarsi. Meglio morta”.
Così, poche ore dopo quel fatto che aveva sconvolto la vita della coppia, dei loro figli, dei familiari e di tutta la città, Nicola Amadu aveva tentato di giustificare l’uxoricidio. La sera del 9 novembre di due ani fa, dopo le 21, finito di discutere con la moglie che gli diceva di essere stata dall’avvocato, la prese a pungi e calci, poi andò a prendere una tanica di benzina da cinque litri dal capanno degli attrezzi, gliela cosparse sul corpo, le diede fuoco e telefonò alla figlia. “Vieni a vedere tua madre che brucia”, disse, secondo la versione fornita da alcuni parenti. Quel pomeriggio Anna Doppiu era stata dall’avvocato Pasqualino Federici, deceduto nei mesi scorsi, ma non aveva seguito il consiglio del legale, che la implorava di denunciare il marito.