Il “Ritratto di Edmond Belamy” è stato generato da un algoritmo addestrato sulle opere prodotte tra il XIV e il XX secolo.

Valore stimato tra i 7mila e i 10mila dollari! Come può una casa d’asta come Christie’s mettere all’asta un’operazione del genere, aprendo una serie di quesiti etici/estetici, in relazione al valore di mercato dell’arte; si possono consegnare i linguaggi dell’arte a un’intelligenza artificiale e i relativi introiti a gruppi di ricercatori che lavorano con i big data ? Il quadro fa parte di un gruppo di 11 ritratti di un’immaginaria famiglia, ideati da un trio francese di venticinquenni, hanno archiviato in un algoritmo 15mila dipinti realizzati tra il XIV e il XX secolo. L’opera, nata da un lavoro di ricerca e incontro tra arte e Ai, ad opera di Obvious, un collettivo con sede a Parigi, composto da Hugo Caselles-Dupré, Pierre Fautrel e Gauthier Vernier.

Perché mi sembra pericoloso, che un quadro dipinto da un’intelligenza artificiale, venga battuto all’asta di una casa d’asta internazionale, come fosse frutto d’intelligenza artistica piuttosto che artificiale? L’intelligenza artificiale, può dipingere come chiunque, umiliare mortificare e vessare il Picasso della porta accanto; può alimentare la stasi e l’immobilismo dei linguaggi dell’arte e delle ricerche artistiche; si tratta di elaborati artistici prodotti senza la discriminante dell’identità e con il valore aggiunto dell’immortalità (o immoralità artistica?) dell’algoritmo. Le intelligenza artificiali, per struttura algoritmiche, si disinteressano dell’umano, competono tra loro; vi riuscite a immaginare un sistema dell’arte, con programmatori algoritmici che determinano ricerche pittoriche in conflitto tra di loro? Un sistema che ammette l’idea dell’intelligenza artificiale come artista, è o no un sistema dell’arte privo del pensiero critico d’artista? SE DEVO SCEGLIERE TRA LA VOCE CRITICA CINESE DI AI WEIWEI, E UNA INTELLIGENZA ARTIFICIALE CHE DIPINGE IN BASE AL BIG DATA, PREFERISCO AI WEIWEI. Necessario che Licei Artistici e Accademie affrontino tutto questo, che sappiano ritagliarsi uno spazio complementare a quello che le intelligenze artificiali stanno configurando; è l’umano artista e creativo che deve entrare nell’intelligenza artificiale, non l’intelligenza artificiale che deve affermarsi forte di un valore di mercato di base. Tutto questo sta avvenendo, con uno scenario di fondo, che ha come nodi economici Cina e Silicon Valley, da questi due poli è già partita una competizione per investire sull’idea dell’arte e dell’artista che verrà; intanto democrazie e parlamenti sono sempre più leggeri rispetto alle piattaforme digitali (il M5S attesta in fondo questo, che il codice digitale, potrebbe essere, alla base della rivoluzione giuridica); stati e nazioni potrebbero lasciare il posto a imprese stato che si muovono per reti d’utenti (non è questa forse la visione di Casaleggio?). Gli artisti sono già dipendenti dai loro fornitori di creatività digitale; l’economia fondata sulla rarità sta mutando direzione, la rotta è quella dell’istantaneità. L’estetica/etica della ricerca, un tempo monolitica e individuale, nello “studio” dell’artista, con l’algoritmo pittore, diventa questione tecnica di mestiere; il pittore e l’artista che non prenderà atto di questo, consegnerà all’ingegnere l’arte del domani. Pensateci un attimo: Come si potrebbe dopare il mercato, se un Mark Zuckerberg, iniziasse di punto in bianco a collezionare quadri determinati da un suo algoritmo? In questo secolo, per tutto (e oltre) il millennio che verrà, se si crede che l’intelligenza artistica sia tesoro e patrimonio comunitario, bisognerà lottare per preservarla; questo sarà (ed è) il compito delle Accademie, formare e preservare la generazione d’Instagram e assumersene la responsabilità.

Occorrerebbe in tal senso, riequilibrare gli investimenti pubblici; investire nella ricerca e formazione artistica locale, nella pedagogia e la didattica dell’arte, almeno quanto i giganti del digitale investono nell’educare Intelligenze artificiali e cervelli al silicio. L’Accademia che verrò, dovrà essere ipertecnologica, ma non dovrà formare ingegneri, ma umanisti del pensiero critico e creativo, che sappiano cercare obiettivi condivisi nell’interesse di tutta la comunità umana. Questo per dire, che ritengo il ruolo del/la Maestro/a d’Arte, il mestiere più importante di questo secolo, è lui/lei il social network dell’autonomia del pensiero critico!