“Mio marito è vittima di un errore giudiziario per questa ragione ha iniziato lo sciopero della fame e della sete. Oggi è svenuto davanti a me durante i colloqui. Qualcuno deve intervenire”.
È l’appello lanciato da Sabina Locci, moglie di Stefano Bulla, il 48enne già campione del mondo ed europeo di Tae-kwon-do, arrestato nel febbraio scorso in Thailandia perché doveva scontare sei anni e dieci giorni per un cumulo di condanne relative a reati contro il patrimonio e la persona (truffe, riciclaggio, violenza privata) commessi in provincia di Cagliari dal 2005 al 2009. L’esperto di arti marziali era in Thailandia da due anni insieme ai figli e alla moglie e aveva aperto una palestra. Secondo l’accusa si era allontanato dall’Italia proprio per evitare il carcere.
“Viveva alla luce del sole, non si nascondeva affatto – racconta Sabina Locci – pubblicava costantemente sui social le sue foto, non si sentiva certo un ricercato. Ma lo hanno arrestato ed estradato”. Inizialmente Bulla è stato rinchiuso nel carcere di Civitavecchia, poi il trasferimento in Sardegna, nel penitenziario cagliaritano di Uta. “Da 15 giorni – spiega la moglie – ha iniziato lo sciopero della fame: è vittima di un errore giudiziario, ma nessuno lo ascolta. Gli è stata infatti conteggiata una pena relativa al riciclaggio che invece ricadeva nell’indulto”.
A settembre sono fissate una serie di udienze, e in quell’occasione Bulla potrà difendersi e far valere le sue ragioni. Nel frattempo, però, ha deciso di avviare una forma estrema di protesta: lo sciopero della fame e della sete. “Ha già perso 17 chili – sottolinea Sabina Locci – oggi mentre parlavamo durante il colloquio si è sentito male ed è stato trasferito in infermeria: qualcuno lo aiuti, o si lascerà morire”.