Il giorno dopo l’incontro con Putin che ha scatenato una bufera di polemiche contro Donald Trump, accusato all’unanimità negli Usa di ‘resa’ nei confronti dello zar, arriva la marcia indietro del tycoon: “Intendevo dire il contrario”, scandisce in serata, rettificando clamorosamente le sue stesse parole pronunciate accanto a Putin appena 24 ore prima. Il fiume in piena di critiche e condanne stavolta lo ha davvero travolto. Rientrato a Washington in mattinata, Trump ha trovato la capitale in subbuglio, la West Wing nel caos, senatori e leadership del partito repubblicano ad annaspare fra imbarazzo e caute ma necessarie prese di distanza. Il presidente degli Stati Uniti accusato di “tradimento”, di aver imbarazzato l’America davanti al mondo, di una resa senza precedenti nei confronti di un inquilino del Cremlino. E soprattutto di aver “creduto al Kgb e non alla Cia”, come ha tuonato il leader della minoranza democratica al Senato Chuck Schumer.

La retromarcia, a quel punto, è diventata inevitabile: “Ho piena fiducia e sostegno nell’intelligence degli Stati Uniti” e “accetto” le conclusioni degli 007 sulle ingerenze russe nelle elezioni. Eppure la giornata Trump l’aveva cominciata con quel piglio e quell’insofferenza cui ha abituato l’America e il mondo, e che continua a fare breccia fra il suo seguito. Via Twitter aveva a suo modo protestato contro le critiche, le condanne e lo sdegno che pure aveva previsto (“Qualsiasi cosa farò, verrò criticato”, aveva twittato prima di vedere Putin). Aveva scritto di aver avuto un grande incontro alla Nato ma uno “ancora migliore” con Putin, puntando il dito contro i media: “Non viene riferito in quei termini, le Fake News sono impazzite!”. Stavolta però, forse per la prima volta, ha dovuto aggiustare il tiro, correggere. Glielo hanno chiesto praticamente tutti, pure i sodali più stretti. E Trump lo ha fatto prendendo in mano, davanti alle telecamere, la trascrizione della conferenza stampa di Helsinki: “Mi rendo conto che c’è bisogno di un chiarimento: volevo dire ‘non vedo perché la Russia non debba essere ritenuta responsabile’ per le interferenze nelle elezioni americane”. Un lapsus quindi, una svista: “Intendevo dire l’opposto”. Ha dovuto farlo Trump, perché lo sgomento e la denuncia è risuonata troppo forte e troppo a lungo, a Capitol Hill come sui network all news, Fox compresa. Reazione dopo reazione, intervento dopo intervento. E se il coro dell’opposizione democratica lo si poteva dare per scontato, è stato l’imbarazzo in cui per ore ha navigato il partito repubblicano, la sua leadership alla Camera e al Senato, che ha reso necessaria la rettifica. Durissimo era stato il Washington Post: Trump ha “colluso apertamente con il leader criminale di una potenza ostile”. Sgomento il Wall Street Journal: “Un imbarazzo personale e nazionale”.