Continua a crescere il numero di italiani residenti al sud e nelle Isole che emigrano nelle regioni del nord Italia o all’estero in cerca di un’occupazione o di contesti più favorevoli per la propria realizzazione professionale e personale. Ad aumentare sono soprattutto i giovani: oltre il 39% di chi ha abbandonato la sua città natale nell’ultimo anno ha tra i 18 e i 34 anni.

Si tratta della più grande ingiustizia del Mezzogiorno, frutto del combinato disposto tra una povertà dilagante e la crescente disuguaglianza tra giovani e anziani, su tutto: formazione (e quindi studi), lavoro, stipendio e pensione. A loro, ex giovani, tutto (o quasi), ai nuovi giovani nulla (o quasi). Il fenomeno dell’emigrazione, spreco per intere generazioni e per il Paese intero, interessa la Sardegna dalla fine dell’Ottocento, ma negli ultimi anni, complice una crisi che non sembra avere via d’uscita, ha costretto i sardi a fare di nuovo le valigie.

A raccontare la propria esperienza di ‘giovane emigrato’ è Alberto Serra, 19enne sardo, uno dei quasi 15mila isolani con meno di 34 anni che, dal 2009, hanno lasciato l’Isola per cercare lavoro in altre zone d’Italia e riuscire, quindi, a costruirsi una vita degna di questo nome.

“A luglio del 2017, a 19 anni, mi sono diplomato da geometra e ho deciso di cercare un’occupazione. Ho fatto qualche lavoretto, alcune giornate come cameriere, mansioni che ovviamente non danno una certezza economica e quindi nemmeno l’indipendenza. Ero deciso ad accontentarmi di qualsiasi cosa pur di iniziare una carriera. Con questi presupposti sembrerebbe facile trovare un posto dignitosamente retribuito e invece, vi assicuro (e mi rivolgo soprattutto a chi dovrà ancora provarci), che se non si hanno gli ‘agganci giusti’ non è affatto semplice”. Parole dure quelle di Alberto e prive di speranza nei confronti di una regione, la Sardegna appunto, che è sempre più solo per vecchi. Un giovane sardo che non può contare su solidi agganci familiari, politici, istituzionali ecc non ha alcuna possibilità di farcela: perché una delle caratteristiche delle zone del mondo che stanno indietro nello sviluppo è proprio quella di non riuscire a riconoscere e ricompensare il merito.

“Dopo mesi di ricerca e dopo l’ennesimo curriculum inviato senza aver ricevuto alcuna risposta, dopo l’ennesimo ‘le faremo sapere’, un amico torna dal Piemonte con una buona notizia: aveva trovato lavoro. Avrebbe dovuto iniziare a Gennaio e mi propose di partire con lui per andare a ‘cercare fortuna’. All’inizio ero un pò scettico, perché prendere quell’aereo avrebbe voluto dire abbandonare la famiglia, gli amici, il posto in cui si è cresciuti, le tradizioni e soprattutto la nostra amata Isola. Dopo qualche giorno di riflessione decisi di partire: d’altronde, economicamente parlando, non avevo niente da perdere. Sono arrivato in Piemonte il 3 Gennaio, nel giro di due settimane ebbi il mio primo colloquio di lavoro che, sinceramente parlando, non è stato tanto difficile ottenere. Il colloquio andò bene e nell’arco di una settimana iniziai la mia nuova attività. Adesso sono già due mesi che lavoro in Piemonte, mi trovo bene e prendo una paga discreta. Ma una cosa mi fa molta rabbia: mi rendo conto che, da come ne parlo, sembra quasi che io abbia avuto la ‘fortuna’ di trovare un lavoro, ma il lavoro non dovrebbe essere una fortuna, dovrebbe essere un diritto di tutti e trovarlo, come è capitato a me, dovrebbe essere la normalità. La nostalgia si sente, ovvio, ma alla fine chi parte fuori e trova un’occupazione fa una scelta di vita, in parte forzata, ‘preferendo’ soffrire un pò di nostalgia per riuscire però a costruirsi una vita senza dover chiedere nulla a nessuno e senza dover dipendere da qualcun altro perchè molti, come nel mio caso, potrebbero restare a casa con i propri genitori, ma a una certa età essere costretti a chiedere dei soldi per poter uscire, per poter mettere la benzina, per comprare una qualsiasi cosa, è svilente e mortificante, ecco perchè chi non trova l’indipendenza in Sardegna, GIUSTAMENTE, va a prendersela altrove”.