Il giorno dell’elezione di Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico alla guida di Senato e Camera è anche il giorno del duplice patto che indirizza M5S e Lega sulla strada per il governo. E’ una strada impervia che ha come ostacoli il nodo della premiership e la partecipazione “attiva” di FI. Ma dalle due votazioni che hanno ampiamente incoronato i due presidenti emergono due novità dirimenti: che tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini esiste un filo diretto di una qualche solidità e che il M5S, nella sua nuova veste istituzionale, è disponibile a tradire la sua ortodossia votando, ad esempio, un’esponente berlusconiana.
I giochi non sono certo semplici, i veti da far cadere sono diversi e, in via ufficiale, il M5S continua a slegare l’accordo sulle Camere dalle maggioranza di governo tenendo socchiusa la porta al Pd. “Siamo aperti a tutti, i partiti si facciano avanti per il bene del Paese”, spiega Di Maio in serata ponendo in evidenza il nodo della premiership: “Il M5S ha preso 11 milioni di voti, spero si tenga conto si questo”. La conditio sine qua non di Di Maio-premier, al momento, non cade. D’altro canto difficilmente Matteo Salvini, dopo aver “perso” la guida di Camera e Senato, accetterebbe di fare da comprimario ad un premier M5S.
Ma le parole di Di Maio, rispetto a qualche giorno fa, appaiono più morbide se viste in controluce. E all’orizzonte emerge, come possibile exit strategy di medio-lungo periodo, il contorno di un asse governativo Lega-M5S – con l’appoggio esterno di FI – che abbia all’apice un capo dell’esecutivo terzo. Sarebbe, sia con un premier politico sia (e soprattutto) con un capo del governo “tecnico”, un esecutivo di breve durata, orientato a porre le nuove elezioni a breve. I fatti, intanto, dicono che il patto Di Maio-Salvini sulle Camere ha retto. Un patto nato nella notte, come nella migliore tradizione della politica italiana. Di prima mattina lo stato maggiore M5S si riunisce con Beppe Grillo all’hotel Forum. Le facce sono distese, scappa anche una battuta su Piero Fassino.
Il Garante vuole restare defilato ma benedice l’accordo. “Il M5s deve adattarsi, e soprattutto deve dare risposte”, è il concetto che Grillo spiega ai suoi sottolineando che gli accordi sono accordi, anche quelli con FI. E in chiave governo emerge la strategicità della scelta di Fico, equilibratore a sinistra di un possibile asse con la destra che, di certo, imbarazzerebbe più di un pentastellato.
Di Maio, già nella giornata di ieri, aveva scelto di “sacrificare” Riccardo Fraccaro, consapevole che il primo nome proposto dal M5S, dopo il rumoroso “no” ad un incontro con Silvio Berlusconi, non poteva essere accettato da FI. E “bruciare” Fico avrebbe catapultato Di Maio di fronte ad una semi-rivolta interna, con nuove tensioni tra pragmatici e ortodossi. Invece i vertici hanno scelto la direzione opposta, mettendo nero su bianco ciò che Di Maio, nel colloquio chiarificatore con Fico nei giorni tempestosi della festa di Rimini, aveva assicurato al deputato napoletano: che il Movimento non sarebbe stato portato tutto su un lato.
Da qui la scelta di Fico, nome che campeggiava già ieri, sulla lavagna degli uffici del M5S. Una scelta che ha anche un sapore elettorale perché porta a capo della Camera il volto storico del Movimento e preannuncia quella rivoluzione nei costi della politica promessa da tempo. Niente, infatti, al momento viene escluso nel Movimento. Neanche il timore di un’incredibile virata che riporti a galla l’opzione di un governo centrodestra-Pd.