La lettera di dimissioni di Matteo Renzi. E la relazione del vicesegretario Maurizio Martina, con al centro le parole d’ordine “unità” e “collegialità”. Così la direzione del Partito democratico ufficializzerà oggi la fine dell’era Renzi. Il leader uscente potrebbe non esserci e parlare tra un mese in assemblea, ma fino all’u1ltimo si riserva di cambiare idea. Di sicuro non spariranno i renziani: il Pd, sostiene Matteo Orfini, non si “ricostruisce senza il contributo di Renzi”. Ma tra i Dem si moltiplicano i ‘rumors’ su un possibile nuovo partito di Renzi, “alla Macron”. In particolare si parla di un lavorio in corso soprattutto sul fronte milanese per creare le basi per un nuovo partito di Renzi. Ma i suoi per ora smentiscono: non sarà più segretario, ma non molla il Pd. La ‘reggenza’ del Pd passa intanto a Martina, che in direzione annuncerà una gestione collegiale (in forme da definire) della travagliata fase di transizione. “Spetta a chi ha vinto la responsabilità del governo”, dovrebbe dire Martina, ponendo il Pd all’opposizione. E la direzione dovrebbe approvare a stragrande maggioranza le sue parole, che potrebbero essere tradotte in un documento finale. Ma il ‘dopo’, che passa per le nomine in Parlamento e la formazione del governo, riserva tante incognite: lo stesso Orfini non chiude preventivamente a un eventuale governo del presidente sostenuto da tutti i partiti. Il tentativo è per ora evitare ‘conte’, sia oggi in direzione che la prossima settimana, quando si dovranno eleggere i capigruppo. Già si ragiona di una presidenza renziana e una di mediazione (si citano Guerini e Rosato alla Camera, Bellanova e Parrini o anche Pinotti al Senato). E Matteo Orfini tira il Pd fuori anche dalle presidenze delle Camere, definendo “legittimo” che vadano a M5s e Lega, con una soluzione che eviterebbe dispute interne. Ma i prossimi passaggi sono tutt’altro che scontati e tra i Dem c’è chi non reputa chiusi i giochi neanche per la presidenza delle Camere: il primo ostacolo – ammettono però – è che il Pd dovrebbe essere tutto unito per trattare. Oggi si ripartirà da dimissioni “vere” di Renzi e da una analisi della sconfitta che Martina promette non assolutoria.

Poi alla metà di aprile dovrebbe tenersi l’assemblea del partito. In quella sede si dovrà scegliere se eleggere un nuovo segretario o convocare il congresso. Ma molti nel partito (tranne qualche pasdaran renziano) sembrano concordare sull’inopportunità di primarie subito. Dunque si dovrebbe cercare un segretario ‘di unità’ in vista del congresso, da tenersi nel 2019 o, come preferirebbero i renziani, nel 2021. In questo caso la scelta potrebbe ricadere come una figura come Graziano Delrio, che per ora si tira fuori, mentre avrebbero meno chance nomi come Nicola Zingaretti (che unisce un ampio fronte di sinistra) o Carlo Calenda, vicino a Paolo Gentiloni e sempre più attivo (“E’ urgente riaprire le iscrizioni”, twitta). Ma la resa dei conti può ancora riservare sorprese, perché gli animi sono accesi. Non si cerchi in Renzi, avverte Orfini alla vigilia della direzione, il “capro espiatorio” con “abiure” per “cancellare responsabilità” della sconfitta che sono di tutti, incluso chi “ha fatto il ministro per cinque anni” (un riferimento a Franceschini?). In un clima così incerto, la direzione si annuncia molto partecipata (secondo qualcuno potrebbe esserci anche Walter Veltroni) e le diverse aree serrano le truppe (orlandiani ed emilianiani si riuniranno prima della direzione, mentre i renziani smentiscono ‘vertici’). Orfini, che da presidente del partito dovrebbe partecipare alle consultazioni al Colle con il vicesegretario Martina e i futuri capigruppo, afferma che sostenere un governo M5s sarebbe “la fine del Pd”. Ma Emiliano spinge per un’intesa con i Cinque stelle e i suoi avanzano il sospetto che alla fine un accordo si faccia con il centrodestra: “Renzi vuole trasformare il Pd in una bad company”, attacca Dario Ginefra.