Non c’è una maggioranza in Italia, titolano i media esteri. Ma i primissimi dati lasciano spazio ad alcune soluzioni e ad una certezza: i Cinque stelle sono nelle condizioni di dare le carte. Più di un centro-destra vittorioso nei numeri di coalizione ma indebolito dalla mancanza di un chiaro vincitore tra Berlusconi e Salvini. Da settimane l’M5s garantisce che non lascerà l’Italia nel caos, trovando in questo una singolare sintonia con il Quirinale che farà di tutto per dare un esecutivo al Paese.

Da quel pochissimo che trapela dal quartier generale di Luigi Di Maio il testa a testa tra Berlusconi e Salvini preoccupa il Movimento che sotto-traccia guarda più volentieri a sinistra. A un Pd fortemente indebolito e al partito di Pietro Grasso, Liberi e Uguali, che in queste ore osserva preoccupato dati non lusinghieri. Ma si apre però fragorosa la questione Matteo Renzi: quali saranno le sue mosse di fronte a quella che non sembra esagerato definire una “debacle”? Ci sarà già domani una resa dei conti all’interno del partito? Il segretario ha più volte detto che non si dimetterà anche in caso di sconfitta, ma era dialettica pre-elettorale. E’ questa adesso la vera incognita da sciogliere. Non è un caso infatti che non sia piaciuta all’entourage di Di Maio la primissima dichiarazione del fedelissimo di Matteo Renzi, Ettore Rosato, che commentando gli exit pool ha detto che con questi numeri il Pd starà all’opposizione.

Silenzioso il centro-destra che per ora guarda più alle dinamiche interne e spulcia i numeri per capire se ha un voto in più il leader della Lega o l’eterno cavaliere. Ma naturalmente già rivendica il primato di coalizione e anticipa che chiederà l’incarico al presidente della Repubblica. Non è dato ancora sapere se si tratterà dell’europeista Antonio Tajani o del sovranista Matteo Salvini. E fa una bella differenza per tutti. A partire dal Colle che non ha mai nascosto che c’è un crinale difficilmente superabile: l’Unione europea. Sergio Mattarella ha seguito lo spoglio da Roma, con la famiglia. E già ha fatto sapere che il Quirinale non nutre alcun pregiudizio politico. Sono i numeri parlamentari a determinare la nascita e la vita di ogni Governo, si ricorda non nascondendo gli ampi margini di manovra che la presidenza della Repubblica ha per sciogliere crisi complesse.

Ma – si è anche ricordato in tempi non sospetti – non c’è alcun automatismo costituzionale nel decidere a chi dare l’arduo compito di tentare la formazione di un Governo di coalizione. Non basta avere un voto in più per ottenere il mazzo delle carte. La ratio che muove il Quirinale è lineare: dopo le consultazioni si provvederà a dare l’incarico a chi avrà l’effettiva possibilità di formare un esecutivo che abbia i numeri alle Camere. In entrambe le Camere. Non c’è dubbio che dopo questa sera in pole position ci sia Luigi Di Maio. Ma i tempi della politica spesso si dilatano e se non lo fanno spontaneamente ci pensa la Costituzione che generosamente fornisce tempo per analisi e approfondimenti. Tanto tempo.

Le Camere sono convocate per tra quasi 20 giorni, il 23 marzo. Poi bisognerà eleggere i presidenti di Senato e Camera e potrebbe non essere così semplice. Mentre per il Senato i tempi sono stretti (c’è il ballottaggio), per la presidenza della Camera serve la maggioranza assoluta. E quindi un accordo politico. Ovviamente Mattarella entrerà ufficialmente in scena solo dopo tutto ciò e avrà nella sua disponibilità la radiografia dell’accordo raggiunto per eleggere la terza carica dello Stato. Non poco per partire. Effetto tempo, quindi. Utile per far decantare lo stress elettorale, per far ragionare i delusi e, perchè no?, per far uscire dall’ombra una figura capace di coagulare maggioranze che oggi non sembrano neanche all’orizzonte. Di Governi di scopo, del presidente o, peggio, di minoranza al Colle proprio non se ne parla. C’è tempo per formalizzare quella che sarebbe una sconfitta di tutta la politica, il ritorno alle elezioni.