L’ultima tappa di “Bowie Is” è dove lui aveva deciso che fosse. Il Duca Bianco torna a casa, nella New York di cui per oltre 20 anni fu residente full time e cittadino invisibile. La mostra blockbuster del Victoria and Albert, partita da Londra nel 2013 quando il camaleonte del rock era ancora vivo, atterra il 2 marzo nella Grande Mela con una narrativa capace ancora di stupire. Come con la carta da parati disegnata per Laura Ashley dalla poliedrica pop star. Bowie è morto il 10 gennaio 2016, due giorni dopo il 69/o compleanno, e la mostra è una full immersion nella creatività, nel genio e nel senso dell’assurdo di un divo che non fu solo musica.

Per il V&A fu un record di biglietti venduti. Il Brooklyn Museum, che ospiterà fino al 15 giugno oltre 500 oggetti appartenuti a Bowie fin dagli anni dell’adolescenza, per l’occasione ha cambiato il tariffario: dai normali 16 dollari a 20 (e 25 nel week end) per chi sente di fare la coda a 35 per saltare la fila e poi su, su, su fino al pacchetto “Aladdin Sale” (dal nome dell’album del 1973) da 2.500 dollari, che ammette alla mostra due persone accompagnate da un curator durante l’orario di chiusura. Per mettere il biglietto vip in contesto, è quello di una delle prime puntate per il radio-fonografo Castiglioni appartenuto a Bowie all’asta da Sotheby’s nel 2016. Prezzo finale: 323 mila dollari.
“Bowie lasciò l’Inghilterra nel 1974 e finì per fermarsi in America. Siamo felici che l’ultima tappa torni a New York”, ha detto la curator del V&A, Victoria Broakes che ha coordinato con Geoffrey Marsh il tour di “Bowie Is”. Nel frattempo ci sono state 10 soste intorno al mondo, dalla Spagna al Giappone: al Mambo di Bologna, unica tappa italiana, oltre 130 mila visitatori su un totale di 1,8 milioni globali. Una mostra fenomeno: c’era solo l’imbarazzo della scelta nei 75 mila pezzi accuratamente catalogati nei David Bowie Archives a cui nel 2012 lo stesso Bowie aveva dato accesso. A New York, con la sponsorship di Spotify, i visitatori di una biografia per immagini, suoni e oggetti di una superstar che non aveva mai voluto scrivere la sua, la visita è accompagnata da una colonna sonora di 36 canzoni creata dal producer storico Tony Visconti.
Un centinaio di pezzi mai esposti in altre incarnazioni di “Bowie Is” sono approdati a Brooklyn. Sono legati all’esperienza americana, e a New York in particolare, come i fondali della produzione di “Elephant Man” a Broadway degli anni ’80, una collaborazione del 1998 con Laurie Anderson per la serie di disegni “Line”, fino ai taccuini per “Black Star”, l’album finale uscito due giorni prima di morire e prodotto da Visconti, l’amico di sempre.
Ma poi anche, accanto a 60 costumi di scena molti di Alexander McQueen, il cucchiaino della cocaina degli anni ’70.

Le opere censurate come la cover di “Diamond Dogs” con il mezzo uomo mezzo cane con i genitali aerografati. “David la chiamava una delle mie tre castrazioni”, ha detto Matthew Yokoboski, il curatore del gran finale al Brooklyn Museum dove in maggio è già sold out un ballo per cui è richiesto di vestirsi nell’incarnazione preferita di una superstar che fu sempre icona di stile: “La notte dei mille Bowie”.