“Indagate su questa competizione, su ciò che è accaduto a Roberto. Non è pensabile che una competizione sportiva, per quanto estrema, finisca con l’amputazione di mani e piedi dell’atleta, perché se è successo a Roberto può succedere a chiunque”.
È l’appello di Giovanna Caria, la compagna di Roberto ‘Massiccione’ Zanda, l’ironman cagliaritano ricoverato nell’ospedale di Whitehorse, in Canada, a seguito del congelamento di mani e piedi avvenuto mentre partecipava alla Yukon Artic Ultra, la maratona in solitaria sulla neve dove il termometro scende anche a -50 gradi.
“Pare che al check point Roberto non sia stato visitato – denuncia Giovanna – abbiamo saputo che aveva sintomi di congelamento, lo avrebbero fatto riscaldare e poi ripartire senza approfondire il suo quadro clinico: dopo oltre 10 miglia non è riuscito più ad andare avanti e adesso rischia l’amputazione”. La donna si interroga. “Se è vero che Roberto stava male, dovevano impedirgli di proseguire, perché non lo hanno fatto? – sottolinea raggiunta telefonicamente dall’ANSA mentre si trova in Canada – Dall’organizzazione dicono che non riusciva a trovare il tracciato perché aveva le allucinazioni dovute all’ipotermia, allora è sicuro che bisognava fermarlo”.
Giovanna ha contattato il Consolato italiano chiedendo l’intervento del ministero. “Non è possibile – aggiunge – che gli organizzatori stiano guardando l’aspetto commerciale della gara e non quello umano”. Ieri Roberto era stato intervistato dalla Cbc e anche lui aveva puntato il dito contro gli organizzatori. “È una bellissima gara, una gara estrema – aveva detto – al quinto check-point eravamo tre in corsa, il 95% degli atleti era già fuori. Sarebbe bastato che l’organizzazione avesse avuto un poco più di cura nel controllare la pista e queste cose non sarebbero successe”. Anche Giovanna era stata intervistata: “Ma le mie dichiarazioni contro l’organizzazione – sottolinea – sono state tagliate”.