Si conoscerà mercoledì 6 dicembre la sentenza della Corte d’appello di Sassari per il processo che vede Graziano Mesina imputato come mandante dell’omicidio di Santino Gungui, ucciso a fucilate la notte tra il 24 e 25 dicembre del 1974 a Mamoiada (Nuoro). Nell’udienza di questa mattina, davanti alla Corte presieduta da Mariano Brianda, le avvocate della difesa Beatrice Goddi e Maria Luisa Venier hanno chiesto per Mesina (assente in aula) la conferma della sentenza di primo grado, ovvero l’assoluzione.

“Graziano Mesina è già stato punito per gli errori che ha fatto”, ha detto l’avvocata Goddi chiudendo il suo intervento. La difesa ha contestato le conclusioni con cui il procuratore generale Giorgio Bocciarelli aveva chiesto di ribaltare la sentenza di primo grado e condannare Mesina all’ergastolo. Secondo le tesi della difesa, le conversazioni fra l’ex primula rossa del banditismo sardo, ora detenuto nel carcere nuorese di Badu ‘e Carrus, e il suo autista e factotum Giovanni Filindeu, non sarebbero una prova del coinvolgimento di Mesina nell’uccisione di Gungui. Anzi quelle frasi pronunciate durante uno spostamento in auto in Gallura proverebbero il contrario.

“Non c’è un quadro indiziario completo e prendendo in esame gli elementi certi del processo non esistono neanche indizi che possano condurre Mesina ai reati di cui è accusato”, ha spiegato l’avv. Goddi, sostenendo come ipotesi percorribile per quel delitto la faida esistente all’epoca fra i Gungui e un’altra famiglia di Mamoiada. Secondo le ricostruzioni portate in aula dalla difesa citando le dichiarazioni rilasciate agli inquirenti dalle sorelle di Santino Gungui, Clelia e Isabella, il fratello sarebbe stato ucciso da due compaesani perché si era immischiato, come intermediario, nel sequestro del cagliaritano Puccio Carta, rapito nel marzo 1974 e mai tornato a casa. “In questo processo manca la prova del mandato omicidiario”, ha concluso l’avv. Venier.