La vita intorno e dentro la miniera. Non nel Sulcis, ma nel Gerrei, terra fra Ogliastra, Sarrabus e Trexenta: 214 foto che raccontano storie di lavoro, lotte sindacali, occupazioni, ministri in visita, ma anche partite a pallone e feste di paese. Immagini che chiedono rispetto per il passato e attenzione per il futuro. Perché, anche se molte miniere sono chiuse e abbandonate, si può ricominciare da lì puntando sul rilancio di quello che c’è e può andare avanti. E su turismo, ambiente e ospitalità.
È la strada indicata dal libro “Miniere e Minatori”, fatto di immagini raccolte da chi si calava nelle viscere della terra e da figli o nipoti di minatori. Un volume firmato dall’associazione Minatori a memorie del Gerrei. Un’opera che è anche un manifesto di quello che si potrebbe fare per ridare lavoro e fermare lo spopolamento. Lo statuto dei minatori è una vera e propria lista di strategie per la battaglia.
Punto primo: raccogliere materiale fotografico, filmati, eccetera. E questo è stato fatto e si continuerà a fare. Altre sfide: recuperare l’ambiente attraverso progetti di bonifica delle zone degradate dai fenomeni di impatto delle attività minerarie, recuperare insediamenti oggi in stato di abbandono, progettare e realizzare un sistema museale che raccolga minerali e fossili e che illustri metodi e tecnologie minerarie utilizzate (macchine, utensili, attrezzature).
Ancora: contribuire ad ampliare le potenzialità di sviluppo della zona, incrementando le attrattive già esistenti nel territorio in campo archeologico, culturale, naturalistico e scientifico (radiotelescopio), cercando nuove opportunità occupazionali. “Questa semplice raccolta di fotografie – spiegano i minatori nella prefazione – vuole essere un segno tangibile di impegno, un’impronta iniziale di un itinerario che conduce al raggiungimento degli obiettivi che ci siamo proposti”. Una lunga storia, quella delle miniere, che accelera soprattutto tra Settecento e Novecento. A Villasalto si cercava antimonio a Su Suergiu, ad Armungia manganese nella zona di Figarba, mentre altri puntavano su piombo, zinco, ferro, rame, ossido di carbonio a Su fundu de su schirru. Una storia anche di dolore e croci. Da una ricerca in corso, condotta dall’associazione degli ex-minatori del Gerrei, si scopre che i morti a Silius furono 20, di cui cinque polacchi.
E ci fu un altro morto a Ballao nel 1965. Per un totale di 44 deceduti nelle miniere del Gerrei. “Un patrimonio – spiega l’assessore regionale degli Enti locali, Cristiano Erriu, sempre nella prefazione – che non può e non deve essere lasciato al suo destino”. Magari, suggerisce il libro, guardando a quello che succede in altri posti: Trentino, Monte Amiata, Val Chisone, Val Trompia, o nei grandi distretti minerari d’Europa (Germania, Francia, Gran Bretagna, Belgio) che hanno valorizzato i siti minerari cercando e trovando l’oro del turismo e della cultura.