Ha dell’incredibile ma da oltre otto anni il tema centrale della vita politica, economica e culturale (!?) della città è quello dei tavolini per strada con tanto di raffinata discussione intellettuale sul numero e sulla distanza dagli usci degli assordati residenti che ne subiscono tutte le deleterie e perniciose conseguenze in termini di sofferenze e tormento. In un contesto di straripante illegalità.
Che triste destino hanno apparecchiato per la capitale della Sardegna amministratori improvvisati (troppi) senza storia, senza cultura e senza futuro, persino nella stagione politica montante nella quale la soglia di accesso al governo della cosa pubblica si è abbassata così tanto che è quasi impossibile inciampare. Un aspetto rovinoso della crisi storica dei partiti.
Cagliari appare sempre più priva di autorevolezza nei campi del sapere e del governo della comunità, tanto da risultare quasi del tutto marginale nel contesto della vita regionale. Basti considerare che i maîtres à penser che hanno più accesso nelle stanze del potere sono i pubblici esercenti: partecipano, i soli cives ammessi, alle conferenze stampa a fianco del Sindaco Massimo Zedda (da comprimari e con diritto di rivolgersi ai giornalisti), agli incontri esclusivi fra l’Assessore regionale dell’Ambiente Donatella Spano e il Sindaco di Cagliari e possono inoltre incontrare gli Assessori civici senza limitazioni di giorni ed ore. Concertazioni che non hanno mai prodotto nulla di realmente positivo, negli anni. Anzi hanno accentuato i disagi, l’invivibilità della città, le chiamate in giudizio di un Sindaco che appare sempre più confuso e privo di idee utili a proiettare la città in un futuro che si prospetta sempre più incerto. Una città dalla quale i giovani scappano verso lidi lontani in misura tale da non avere quasi pari in Italia. Scappano con il loro bagaglio di saperi e conoscenze acquisite a spese della comunità di origine e che metteranno a disposizione di altre comunità lontane. La gran parte di loro non li vedremo mai più.
L’idea, ritenuta vincente, che il rinascimento della città dovesse passare per tavoli, sedie e ombrelloni è stata un’idea insensata, al punto tale che persino uno degli assessori protagonisti del disastro economico e ambientale che ne è scaturito ha dovuto ammettere: “la situazione ci è sfuggita di mano”. Siccome al peggio non c’è limite, sulla strada del disastro si è continuato con irresponsabile leggerezza. E siccome le azioni “meritorie” sono sempre degne di riconoscimento, quell’assessore dalle mani poco prensili oggi siede nei banchi del governo regionale. A futura memoria che il “buon governo” del bene pubblico premia. Sarebbe ora di avviare un circolo virtuoso in città aprendo in modo permanente le porte del Palazzo civico al mondo del sapere (Università, Centri di ricerca, Ordini professionali, Scuole), delle imprese tutte, delle organizzazioni del lavoro, delle associazioni culturali e ambientaliste, dei comitati dei cittadini.
Solo il coinvolgimento di tutte le forze sane dell’urbe, che non mancano anche se sempre più indebolite da politiche emarginatrici, può tracciare i sentieri da percorrere in un mondo sempre più interdipendente e complesso. Alle spalle abbiamo gli anni duri di una crisi e di una politica che hanno decretato in città la fine di centinaia d’imprese con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro (artigianato, commercio tradizionale, pubblici esercizi e non solo). Una situazione che ha creato profondi squilibri nel tessuto urbano: scompaiono le imprese artigiane manifatturiere nel centro storico, con alle spalle secoli di onorata attività e di rappresentanza anche in mercati lontani (tra il 2011 e il 2016 il numero delle imprese si è ridotto in città di oltre 400 unità. Una ecatombe di cui non si è voluto prendere coscienza ). Di contro una pletorica implementazione di pubblici esercizi ha reso invivibile il centro storico ed elevato il loro tasso di mortalità a livelli sconosciuti nel passato (la vita media delle imprese non raggiunge i cinque anni: una condizione che fa si che la ricchezza distrutta superi quella prodotta). Altro che rinascimento! Di contro si assiste alla desertificazione degli altri quartieri della città tanto che il numero dei pubblici esercizi negli anni richiamati è scemato di 268 unità. Realtà ben diversa dall’illusione distorta che può generare un fugace transito nelle stradine sempre più invivibili del centro urbano. Ed è l’invivibilità sempre più asfissiante che induce i residenti all’abbandono e condanna Cagliari a un costante calo demografico e alla perdita conseguente di risorse materiali e umane senza le quali più incerto è il futuro e più difficile il governo della città e l’erogazione di qualificati servizi (a partire dall’igiene urbana e dalla raccolta dei rifiuti).
Ad elevare il dibattito “culturale” in città molto ha concorso in questi giorni l’improvvisata e alla fine anche improvvida chiusura al traffico della via Roma. Improvvisata perché una scelta così dirompente avrebbe dovuto suggerire l’avvio a tempo debito di un confronto con i cittadini, le imprese (a partire da quelle a bocca di evento), le associazioni impegnate nella tutela dell’ambiente. Ma nulla di tutto questo è avvenuto. Meglio sperimentare sulla pelle degli ignari residenti, anche al costo di sottoporli a inutili disagi, che cercarne il contributo di idee e di proposte per soluzioni fattive e condivise. Giochini da piccolo chimico, quelli del Sindaco. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un fallimento, soprattutto se si cercavano altri commensali da mettere ai tavolini. Perché poi tutto lo “sforzo intellettuale” del Sindaco e della Giunta porta sempre alla birra e ai salatini. Un’ossessione da cui non riescono ad affrancarsi e di cui oramai sono anche vittime.
Per evitare questo oneroso e inutile “arrembaggio” politico alla più importante e prestigiosa arteria della città bastava condurre una elementare indagine conoscitiva sul tasso di occupazione dei posti ai tavoli già disponibili sotto i portici di via Roma, e “scoprire” che quel tasso non supera il 40 per cento nell’arco del giorno. Cioè dei trecento posti ai tavoli mediamente quelli occupati non superano i centoventi.
Per occultare la mancanza di un risultato non spendibile (ma non bisogna nemmeno farne un dramma), a conclusione della sperimentazione si tenta un rimedio con tre giorni di musiche, balli e barbecue che sanno molto di campestre sagra paesana e che renderanno la vita e le notti ancora più impossibili a quanti (soprattutto bambini, malati, anziani, lavoratori) vivono a bocca di evento e le cui ragioni da anni non vengono mai ascoltate. Il rimedio messo in campo è peggio dell’esito negativo che si tenta di occultare ricorrendo alle note della scala musicale e a corollari folcloristici, pastorali e boscherecci che quando imposti con violenza e tracotanza, come in questo caso, suscitano solo indignazione e rabbia.
In questi anni nel dibattito, seppure scarno ma in certi momenti colto e stimolante, sulla città di Cagliari, gli unici assenti sono stati il Sindaco e gli Assessori. Di loro non è mai stato possibile leggere un rigo. Nemmeno nelle dichiarazioni programmatiche, che dovrebbe essere loro prima cura scrivere e che invece sono state scritte dagli uffici. Così la politica abdica al proprio ruolo democratico e diventa succube della burocrazia, con inquietanti e deleterie conseguenze sul governo reale della vita pubblica. Verità che non sfugge a chi ha pratica di questa materia. Se la Giunta non inverte direzione di marcia, se non si apre agli apporti costruttivi della città, ricercandoli e stimolandoli con costanza, per incanalarli su “ Un Grande Progetto per Cagliari” che guardi al domani e riannodi i grandi temi dell’urbanistica, del turismo qualificato e sostenibile, del patrimonio archeologico e ambientale, del commercio, dell’artigianato artistico, tipico e tradizionale e delle piccole e medie imprese, il futuro della capitale dell’isola sarà quanto mai incerto. Il contrario di un approccio alto e colto sarà una dolorosa sconfitta per tutti: il restauro dei cocci che ne seguirebbero non ci riserverà grandi capolavori.
Marco Marini
Comitato Rumore no Grazie