Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 29 agosto 2017, ha deliberato il ricorso alla Corte costituzionale ai sensi dell’art. 127 cost. per violazione delle competenze statali in materia di tutela dell’ambiente, degli ecosistemi e dei beni culturali (art. 117, comma 2°, lettera s, cost.) da parte della Regione autonoma della Sardegna con la legge regionale n. 11/2017.

Impugnati gli articoli 37 (permuta e alienazione di terreni a uso civico), 38 (trasferimento dei diritti di uso civico) e 39 (sdemanializzazione e trasferimento dei diritti di uso civico) della legge. Non impugnato l’art. 36 (regolamento di gestione dei terreni civici), che introduce una disposizione per consentire gli interventi di disinquinamento in assenza di titolo sui terreni a uso civico contaminati, e 40 (norme transitorie), norma di rinvio alla disciplina statale e per la conclusione delle procedure in corso.

Nel ricorso il Governo contesta la “implicita esclusione di una diversa valutazione complessiva tecnico-discrezionale della sussistenza attuale di valori paesaggistici anche non strettamente identificabili con il perdurare dei caratteri e degli usi civici (ad esempio, terreni agrari, ovvero boschivi o pascolativi) … precludendo soluzioni valutative diverse, volte anche, ad esempio, ad ipotizzare, come prevede l’articolo 143 del codice, processi di riqualificazione e recupero di contesti paesaggistici parzialmente compromessi o degradati, oltre al ripristino dello stato dei luoghi ove possibile”.

In realtà, la recente legge regionale prevede interventi esclusivamente finalizzati a ripristino e bonifiche ambientali nei demani civici in assenza di titolo per l’occupazione dei terreni (art. 36), come in varie aree minerarie del Sulcis, introduce la valutazione paesaggistica congiunta con il Ministero per i beni e attività culturali attraverso l’istituto della copianificazione nei casi di permuta e alienazione di terreni a uso civico (art. 37), rende permanente la possibilità del trasferimento dei diritti di uso civico in caso di reali benefici per la collettività locale titolare dei diritti (art. 38).

Inoltre, finalmente, l’ipotesi di sdemanializzazione di terreni a uso civico che abbiano perso irreversibilmente le loro caratteristiche morfologiche viene vincolata al trasferimento dei diritti di uso civico in terreni di valore ambientale messi a disposizione da parte del Comune interessato e dalla Regione (art. 39), così da non impoverire ambiente e patrimonio delle comunità locali nei casi di trasformazioni irreversibili di terreni a uso civico. Anche nei casi di sdemanializzazione e trasferimento dei diritti di uso civico la valutazione congiunta del valore paesaggistico è attuata attraverso l’istituto della copianificazione, mentre vengono previste procedure per la regolarizzazione degli atti di alienazione eventualmente intervenuti.

L’istituto della copianificazione Stato – Regione è centrale per ogni ipotesi di mutamento a qualsiasi titolo delle terre collettive e in quella sede possono benissimo esser valutati eventuali ulteriori valori ambientali che consentano il mantenimento ad altro titolo del vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), anche perché la conclusione della procedura di copianificazione è conditio sine qua non per qualsiasi mutamento del demanio civico.

La proposizione di ricorso davanti alla Corte costituzionale su questi articoli della legge regionale n. 11/2017 appare a chi ha sempre avversato concretamente in ogni modo le tante operazioni legislative di sdemanializzazione delle terre civiche sarde piuttosto assurda, tanto più che il Governo nazionale s’è ben guardato dall’impugnare la legge regionale Sardegna 26 ottobre 2016, n. 26,che prevede proprio l’istituto della copianificazione quale centrale per le ipotesi di sdemanializzazione di terreni appartenenti al demanio civico.

L’attuale impugnativa appare legata alla vicenda del bacino dei “fanghi rossi”, folle discarica di residui della lavorazione della bauxite per ottenere alluminio primario posta sulla costa di Portoscuso, nell’area industriale di Portovesme, realizzato a partire dal 1978 in parte su terreni a uso civico (accertati nel 2005) oggetto del progetto di ripresa degli impianti Eurallumina, comprendente anche la nuova centrale a carbone. In tale nefasta ipotesi sarebbe ampliato a 178 ettari, con argini alti mt. 46 sul livello del mare.

Gli usi civici con il disastro ambientale di Portoscuso-Portovesme hanno, però, davvero ben poco a che fare: il progetto di ripresa degli impianti Eurallumina (fermi dal 2009) comprensivo della centrale a carbone c’entra ben poco con gli usi civici. La trasformazione avvenuta è irreversibile: quei terreni non potranno mai ritornare a vedere l’utilizzo collettivo per pascolo o legnatico, per esempio. Ha senso solo il trasferimento dei diritti su altri terreni con effettivo valore ambientale.
Portoscuso soffre una situazione ambientale-sanitaria, addirittura peggiorata negli ultimi anni, che non consente alcun nuovo progetto industriale con aumento dei carichi inquinanti, per giunta fuori da ogni logica economica. Lo diceva anche l’attuale Presidente della Regione Pigliaru prima di diventare Presidente.

La recente legge regionale Sardegna n. 11/2007 prevede interventi esclusivamente finalizzati a ripristino e bonifiche ambientali nei demani civici in assenza di titolo per l’occupazione dei terreni (art. 36), come in varie aree minerarie del Sulcis, introduce la valutazione paesaggistica congiunta con il Ministero per i beni e attività culturali attraverso l’istituto della copianificazione nei casi di permuta e alienazione di terreni a uso civico (art. 37), rende permanente la possibilità del trasferimento dei diritti di uso civico in caso di reali benefici per la collettività locale titolare dei diritti (art. 38).
Pensare a “nuove valutazioni” su eventuali “nuovi valori ambientali” o a un “ripristino ambientale” per esercitare nuovamente i diritti di uso civico nell’area del bacino dei “fanghi rossi” è pura utopia.

Riguardo il bacino “fanghi rossi” prima di questa legge non era giuridicamente possibile nemmeno la bonifica ambientale (se mai avverrà), perchè in parte non di proprietà dell’industria inquinante (che dovrebbe fare la bonifica).
In realtà, la legge regionale n. 11/2017 costituisce un primo importantissimo passo verso la legalità e la corretta gestione di diritti collettivi e di un patrimonio che interessa 4-500 mila ettari di coste, boschi, pascoli, terreni agricoli e quasi tutti i territori comunali dell’Isola. Passo compiuto grazie anche a una sistematica campagna ecologista in sede legale e di sensibilizzazione.
In pochi anni, per ben due volte la Corte costituzionale ha autorevolmente indicato la strada da seguire per la corretta gestione delle terre collettive: la sentenza n. 103 del 2017 e la sentenza n. 210 del 2014 han affermato chiaramente l’illegittimità di operazioni di sdemanializzazione permanenti, in particolare senza alcun corrispettivo per le collettività locali che andavano a perdere i diritti di uso civico.

Per completare il quadro della buona gestione delle terre collettive sarde ora è necessaria la promulgazione dei provvedimenti di accertamento di terre ad uso civico e i recuperi delle terre civiche occupate illegittimamente, oggetto anche di procedimento penale aperto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari.

Ora il ricorso governativo davanti alla Corte costituzionale riporta a una situazione di incertezza che non fa certamente bene ad ambiente e diritti delle collettività locali.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus