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Palermo è una meraviglia dei sensi. Una città brulicante di emozioni, storia, gusto e bellezze. Non avrei mai immaginato di sedermi all’antica focacceria di S. Francesco di cui parlano anche i Modena City Ramblers ne “La banda del sogno interrotto” ed è da qui che vorrei partire per raccontarvi questo viaggio.
 
A differenza nostra a Palermo in ogni angolo si trovano botteghini che vendono cibo popolare tradizionale, a costi contenutissimi. I turisti si accalcano per assaggiare il “Pani câ meusa” e imparano diversi modi di dire in siciliano. Poche le bandiere italiane in giro, moltissime invece le trinacrie. Palermo trasuda storia ad ogni angolo e diversi quartieri sono stati ristrutturati senza perdere la loro vocazione popolare e proletaria, soprattutto la zona dove si estende Ballarò, il grande mercato popolare di Palermo. Ma in assoluto la cosa che mi ha più colpito sono i bar che sono a tutti gli effetti delle piccole pasticcerie. Qui viene esposta in bella vista tutta la produzione dolciaria siciliana. Da noi non è così. Perché i bar e le pasticcerie sarde spacciano babbà e bigné, omologati e privi di qualunque riferimento alla nostra pasticceria tipica? A prima vista sembra una banalità, ma non è così, anzi è un fatto molto significativo.
 
È anche in queste cose che si evince l’idea di società che possiede un popolo. Basta entrare in una qualunque pasticceria sarda per imbattersi nella mentalità da colonizzati di cui sono imbevuti molti esercenti sardi: da una parte in bella vista la pasticceria internazionale farcita di coloranti e creme steotipate che puoi trovare un pò d’appertutto, dall’altra – se presente –¬ marginale e un pò nascosta, la vetrinetta dedicata alla pasticceria di serie B, ovvero quella sarda. Per chi vuole approfondire questo tema rimando al libro “Topologie Postcoloniali”, di Alessandro Mongili. 
 
A Palermo sono stato invitato dai ragazzi del centro sociale “ExCarcere” per un confronto sull’indipendentismo, su cui anche loro stanno iniziando a ragionanare. Ma piuttosto che insegnare ho imparato molto. Ho capito, con una certa sorpresa, che i siciliani sono molto più avanti di noi sotto tanti aspetti, a partire dall’assenza della vergogna di essere ciò che sono e di manifestarsi al mondo proponendo con orgoglio ciò che si ha e ciò che si è. È questo il primo passo per costruire un cammino di emancipazione. Dovremmo imparare e dovremmo costruire percorsi di solidarietà e comunanza.