È passato un anno dall’approvazione della nuova legge sugli agriturismi da parte del Consiglio regionale, ma la Coldiretti non ha cambiato idea: “È stata fatta da tecnici che non conoscevano a fondo la materia”. La pensa così Michelina Mulas, presidente di Coldiretti Terranostra Sardegna, che punta il dito verso “Un regolamento ambiguo, che non tiene conto della vera natura degli agriturismi”.
Come funziona la legge. Ogni agriturismo da maggio 2015 ha la possibilità di ospitare massimo 26 posti letto, oltre a 10 piazzole di sosta per i campeggiatori. Il 35% dei prodotti proposti al cliente deve essere autoprodotto dall’agriturismo, mentre nell’intero menu ci dovrà essere almeno l’80% di prodotti marchiati Sardegna. Ed è proprio quel 35% che la Coldiretti ha contestato, ricordando che l’agriturismo non basa la produzione del suo reddito sulla ristorazione, ma sulla produzione agricola.
“Occorre mettere al centro l’azienda – sostiene Mulas – non vogliamo che l’agriturismo diventi un semplicissimo ristorante. Dopo un anno siamo ancora più convinti che quel 35% dei prodotti utilizzabili nella somministrazione di pasti sia ancora un errore. Lo avevamo detto prima dell’approvazione della legge, lo ribadiamo ora: per difendere la categoria serve almeno il 50%”.
Quello che si rischia, a parer di Mulas, è l’indebolimento del legame creato in questi anni tra consumatori e aziende agricole, che dovrebbero avere come imperativo categorico quello di offrire la qualità a chilometro zero. “Da una parte ci sono i ristoratori che si danno alla ‘ruralità’, ai prodotti tipici e a quelli locali. Dall’altra ci siamo noi agriturismi, che dovremmo essere il simbolo della qualità che garantisce a chi si siede a tavola che quella sul piatto è la verdura coltivata nel nostro orto. Come possiamo garantirlo se dobbiamo mettere soltanto il 35% dei prodotti dell’azienda?”.
Prodotti tradizionali. Secondo la legge regionale il 45% del menu può provenire da prodotti acquistati direttamente da altre imprese agricole con sede in Sardegna, da marchi biologici (come Dop, Igp, o Doc) o da prodotti agroalimentari regionali inseriti nell'elenco nazionale dei prodotti tradizionali. “Anche qui la legge presenta ambiguità non da poco” spiega la presidente di Coldiretti Terranostra, che ricorre a degli esempi per capire meglio. “Ci serve la farina? Molto bene, la scelgo tra le tante aziende dell’Isola che la producono e che mi certificano che è farina sarda. Ma siamo sicuri che quella sia farina prodotta in Sardegna? La sede sì, ma il grano con cui viene prodotta?” Un’altra cosa incredibile da evidenziare, secondo Mulas, è che i proprietari di agriturismi possono tranquillamente optare per i malloreddus marchiati Barilla, considerati prodotti tradizionali e quindi rientranti in quel 45%. “Quindi in conclusione mi chiedo: cosa stiamo proponendo al consumatore se non abbiamo la certezza che quello sul piatto è un prodotto sardo e soprattutto genuino?”.
Una legge così chi dovrebbe favorire? Mulas risponde categorica: “È chiaro: gli agriturismi della costa. La normativa così com’è è fatta apposta per favorire chi ha flussi intensi di turisti durante il periodo estivo. L’aumento dei posti letto e a sedere era una loro esigenza. Ma non critico queste ultime scelte, le posso capire. Stiamo attenti però a lungo andare una legge del genere può nuocere alla categoria. Occorre invece diversificare – conclude Michelina Mulas – spingendo le aziende a proporre piatti originali e genuini, frutto del loro lavoro. Con una legge come questa si tende a omologare i piatti e allora prima o poi un agriturismo varrà un altro”.