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"Nessun tentativo di violenza sessuale ma una semplice montatura di un ricatto a regola d'arte, concordato con gli altri ospiti della casa". È questa la difesa del gestore della struttura di accoglienza straordinaria di Senorbì, Massimo Melis, responsabile della Onlus Solidarity Sardinia.

Per Melis e il figlio di 21 anni si ipotizzano i reati di violenza privata e tentata violenza sessuale, dopo la denuncia di una donna nigeriana ospitata nella loro struttura. Entrambi rigettano le accuse che nei giorni scorsi sono state raccolte dai carabinieri della Compagnia di Dolianova, intervenuti nella struttura.

La donna e gli altri cinque profughi – trasferiti dalla Prefettura di Cagliari in altre località – hanno riferito di essere stati rinchiusi nel centro di Senorbì. Per i gestori si è trattato del rispetto del regolamento che prevede il rientro degli ospiti entro le 22: "Ciascun migrante è libero di trattenersi all'esterno per tutto l'arco della giornata, ma deve raggiungere la struttura entro l'orario stabilito dal regolamento, pena l'esclusione dal sistema di accoglienza".

Non ci sarebbe stata nessuna avances alla ragazza: "La stessa si era invaghita dell'operatore del centro – sostengono i gestori – come si può evincere da numerose fotografie. La reazione aggressiva nei confronti dell'operatore – aggiungono – è il frutto di un chiarimento relativo all'erogazione del pocket money in contanti e al rifiuto di firmare la ricevuta del ticket spendibile nei negozi convenzionati".