Tiene strette tra le mani le lenzuola di quel letto di ospedale in cui è ricoverata da mercoledì, quando è sbarcata dal mercantile greco Rizopov che l'aveva soccorsa insieme ad altri 81 connazionali. Si copre le braccia e in parte il volto, mentre sussurra poche, timide parole all'interprete, mentre il suo sguardo dolce e pieno di paura si perde nella penombra della stanza, come se cercasse un volto familiare per trovare il coraggio di raccontare la sua storia.
Ma il coraggio quella giovanissima nigeriana, incinta di sette mesi e che chiameremo con un nome di fantasia, Hope, per proteggerla, lo ha trovato due volte: quando è salita a bordo del gommone per affrontare il mare e quando, insieme a una connazionale, ha parlato con la Polizia, inchiodando gli scafisti. "In Nigeria non ho più una madre e un padre, ci sono solo i miei fratelli. Sono partita per cercare un futuro migliore per me e per il mio bambino – racconta all'ANSA la donna ricoverata in un ospedale cagliaritano – Pensavo fosse più facile, ma invece non è così: è stato un incubo. Nessuno conosce le condizioni in cui si viaggia. Ho avuto tanta paura, paura di morire insieme alle persone che erano con me, paura per il bambino, per il mio compagno. Non avevamo niente da mangiare, solo dei succhi".
Sono anni che Hope pianifica il viaggio. "Ho messo da parte il denaro che serviva per lasciare la Nigeria – spiega – ho lasciato la mia casa cinque mesi fa e in auto ho raggiunto Tripoli dove sono rimasta circa tre mesi. Non è stato facile, non abbiamo trovato lavoro, non c'era da mangiare, ci hanno ospitato alcuni connazionali". Non dice nulla su come abbiano trovato gli scafisti, troppo il rischio per la sua vita.
"C'erano tanti altri stranieri in attesa di partire – dice ancora all'ANSA – Abbiamo raggiunto un paesino sulle coste libiche e la sera dopo siamo saliti sul gommone per affrontare il mare. Il viaggio è stato durissimo, pensavamo di non farcela poi abbiamo visto la nave che ci ha soccorso".
Gli occhi si illuminano mentre pensa a quel momento.
"Sembrava una festa – confessa Hope – tutti urlavano e cantavano, alzando le braccia al cielo: una liberazione, ma quanta sofferenza per conquistarla".