Con l'industria in crisi, negli ultimi anni da più parti si sono invocate per il Sulcis alternative e investimenti negli altri settori economici come l'agricoltura. Purtroppo anche questo settore, come riportano gli addetti ai lavori e tutti gli indicatori economici, è in grave crisi e rappresenta meno del 3% del valore aggiunto economico territoriale. Una crisi acuita negli ultimi anni col crollo del potere d'acquisto delle famiglie e la perdita di migliaia di buste paga nel territorio, ma che ha anche profonde origini nei gap storici isolani e in una scarsa propensione di molti produttori locali nel consorziarsi e fare sistema tra loro.
“In questi giorni -racconta Giancarlo Pellegrini agricoltore di Tratalias di 57 anni- il prezzo medio del carciofo nel mercato generale di Cagliari è di 5 centesimi mentre in quello di Milano è addirittura più basso a 2 centesimi. Senza contare i costi di trasporto che possono variare dai 60 centesimi di Cagliari fino ai quasi 3 dei mercati principali del nord Italia, Milano e Torino. L'anno scorso -continua l'uomo- un grossista mi chiese di spedirgli alcune migliaia di carciofi in continente, alla fine ci rimisi di tasca e fui costretto ad aggiungere 22 euro dei miei soldi per pagare le cassette e il trasporto”.
Una crisi generata dai prezzi eccessivamente bassi ma anche da costi di produzione e spese vive ormai insostenibili: “Fino a pochi anni fa 1000 litri di gasolio mi costavano 600 euro, oggi quasi 1000. Ma anche i costi dei fitofarmaci, dei bulbi, dei macchinari, della manodopera e di tutto quello indispensabile a produrre sono ormai elevati. Per coltivare un ettaro a carciofi si spendono in media 4000 euro e ultimamente se ne ricavano solo 1000. Non è più possibile andare avanti, in queste condizioni è praticamente impossibile produrre carciofi e per la prima volta dopo tanti anni sto pensando seriamente di dismettere le produzioni e chiudere la mia azienda”, spiega l'agricoltore.
Una situazione che potrebbe essere però attutita se ci fosse maggiore sinergia tra i produttori: “Se noi produttori locali non soffrissimo della solita atavica diffidenza e gelosia che contraddistingue molti sardi in altrettanti ambiti, potremmo sicuramente fare sistema e tentare di imporci nei mercati e rispetto anche allo strapotere della grande distribuzione per ottenere un prezzo più congruo alle nostre esigenze e addirittura provare a creare una filiera più corta. Purtroppo è molto difficile creare sinergie perché manca totalmente la mentalità e la classe dirigente politica locale non aiuta in tal senso” conclude Pellegrini.
La Sardegna importa da oltremare l'80% dei prodotti alimentari che consuma, il più delle volte di qualità decisamente inferiore a quelli nostrani. In virtù di questo, con le giuste sinergie, con l'abbattimento dei gap e con una maggiore attenzione e programmazione politica, potrebbero aprirsi in questo settore grandi possibilità di sviluppo, crescita e occupazione.