Sergio Porcedda, l'immobiliarista sardo che nell'estate 2010 acquisì l'80% del Bologna Calcio, di cui fu presidente fino al 23 dicembre di quell'anno, va condannato a due anni e quattro mesi. E' la richiesta formulata dal procuratore aggiunto Valter Giovannini, al termine della requisitoria nel processo che vede Porcedda imputato per appropriazione indebita: nel mirino c'è un bonifico da tre milioni, trasferiti a luglio 2010 dalle casse del club ad una società riconducibile all'imprenditore.
Secondo l'accusa, l'imprenditore puntava ai diritti tv e per questo avrebbe "depauperato" le casse del club. La difesa sostiene che invece il suo comportamento sia stato corretto e trasparente: "Non è un rapinatore, non è un piranha".
L'udienza, al termine della discussione delle parti, è stata rinviata per la sentenza.
Il trasferimento di denaro alla società Asf di Porcedda è stato definito dal Pm Giovannini "una trasfusione di sangue a un moribondo" e "se portassimo questa vicenda in una banale situazione societaria, se ci liberassimo dalle suggestioni calcistiche, non ci sarebbero dubbi: non si è mai visto che una controllata finanzi una controllante". Il Bologna "se la passava male" e le società del gruppo Porcedda "non tanto meglio". Le banche bolognesi non gli davano garanzie "perché non era un soggetto affidabile. Con quale interesse, dunque, da Cagliari arrivò a Bologna per rilevare una società con problemi economici?" La risposta della ricostruzione accusatoria è che Porcedda – che con i milioni trasferiti voleva ripianare i debiti del suo gruppo, in modo da ottenere fidejussioni – "puntava al bersaglio grosso: non fare una bella squadra di calcio, non portare il Bologna in zona Uefa, ma mettere le mani sui proventi dei diritti televisivi. Questo è il dolo d'ingresso di Sergio Porcedda nel Bologna Fc". E' "un fatto grave – ha detto Giovannini – che un imprenditore saccheggi per quel che può una società in barba ai creditori, rischiando di farla fallire". Il Bologna fu rilevato infine da una cordata guidata da Giovanni Consorte, quando i giocatori l'avevano ormai messo in mora.
Ma per la difesa dell'immobiliarista (avvocato Davide Tassinari) Porcedda "non è un delinquente, descriverlo come un rapinatore o un piranha è il distorcimento assoluto. E' un imprenditore il cui operato è stato svilito e sottostimato".
L'operazione fatta "va letta alla luce del contesto: il Bologna necessitava di fidejussioni che si cercavano disperatamente". La scelta di trasferire il denaro è definita dal legale "coraggiosa", ma "obbligata": perché "si andò a prendere liquidità dove c'era". E tutti i soldi del Bologna furono effettivamente impiegati, ha sostenuto la difesa: "Non si è intascato un soldo". L'operazione – i milioni passarono poi dall'Asf ad altre società – fu "trasparente e completamente tracciabile" e aveva l'obiettivo di portare un beneficio al Bfc.
Il legale ha chiesto l'assoluzione, in subordine un doversi procedere per difetto di querela, nel caso in cui il reato riconosciuto dal giudice Sandro Pecorella dovesse essere infedeltà patrimoniale. Porcedda non si è presentato in aula. Ha inviato dichiarazioni spontanee in cui, tra l'altro, ha scritto di non voler tornare "nelle vesti di imputato in una città che molto amo, per la cui squadra mi sono fortemente impegnato".
Il Bologna non si è costituito parte civile.