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Partita la campagna elettorale in molti, tra la grande maggioranza di sardi indecisi, si interrogano sui programmi che i candidati hanno iniziato a divulgare in giro per la Sardegna.

In particolar modo nel Sulcis, terra di frontiera tristemente nota alle cronache degli anni scorsi per via di una crisi che ha di fatto messo in ginocchio le principali realtà produttive, si è aperto il dibattito tra i lavoratori in cassa integrazione, mobilità e tra le decine di migliaia di disoccupati che vogliono capire quali saranno le prospettive a seconda di chi vincerà le elezioni e come si affronteranno le problematiche legate alla deindustrializzazione di un territorio dove negli ultimi anni con la crisi del Polo Industriale di Portovesme si sono persi 170 milioni di euro di stipendi e oltre 500 milioni di Pil.

L'Industria nel Sulcis valeva oltre il 30% dell'intero sistema economico e tutte le altre realtà produttive-commerciali del territorio hanno subito un durissimo contraccolpo dalla chiusura degli stabilimenti.

Dati drammatici, tanto più se si pensa al fallimento, purtroppo annunciato, del Piano Sulcis e alle sempre crescenti difficoltà nel reperimento delle coperture finanziarie per gli ammortizzatori sociali da parte della Regione.

Nella maggioranza delle posizioni elettorali finora espresse sul destino economico del territorio c'è di sicuro la consapevolezza che il modello industriale pesante non potrà più rappresentare il futuro economico delle prossime generazioni.

Ma è sui percorsi da attuare nella fase di transizione che è marcata la divergenza nei programmi delle coalizioni tra chi, come Michela Murgia, ritiene non più rinviabile la chiusura delle industrie inquinanti e la dismissione e bonifica di quelle già chiuse e chi, come ad esempio Mauro Pili, sostiene invece che gli stabilimenti debbano essere riavviati a tempo determinato e nel contempo si debbano pianificare le ineluttabili alternative.

Anche il centrodestra con Cappellacci proclama superato il modello industriale chimico-manifatturiero, ma negli ultimi incontri romani sulle principali vertenze industriali della Sardegna ha sempre dichiarato il contrario. Mentre Pigliaru, da buon economista, da tempo dichiara che produzioni non competitive nel mercato debbano essere chiuse e si debba quindi puntare sull'innovazione e su altri tipi di produzioni.

Per analizzare ognuna di queste posizioni non basterebbe un libro, ma una cosa è certa: chi ha avuto responsabilità di governo regionale ha fatto ben poco per evitare la chiusura degli stabilimenti e non ha saputo porre le condizioni per la creazione delle alternative.

Chi invece ragiona da economista dovrebbe innanzitutto capire che gli unici numeri non contestabili sono quelli che le famiglie non riescono a far quadrare nel proprio bilancio famigliare ogni mese.  E naturalmente (questo vale anche per la Murgia) dovrebbe indicare un percorso concreto in tempi rapidi di alternative e di sostegno al reddito. Lo dovrebbe fare innanzitutto spiegando dove reperire le coperture finanziarie per chi sta sotto regime di ammortizzatore sociale, visto che in tanti non percepiscono l'indennità da molti mesi, e naturalmente spiegare le tempistiche di intervento sull'abbattimento della burocrazia, dei gap strutturali e infrastrutturali per la riconversione del territorio e l'avvio delle eventuali nuove realtà produttive.

In poche parole: tempi e percorsi economicamente sostenibili e certificati.

Le famiglie del Sulcis, memori di quello che successe nella scorsa campagna elettorale per le regionali, sono stanche delle falsità e dei proclami e attendono da tempo risposte concrete e rapidamente attuabili.