lettere-dal-carcere-and-quot-rifiuto-la-giustizia-e-mi-incateno-nella-prigione-del-mio-dolore-and-quot

Riceviamo da Padre Massimiliano Sira, cappellano della casa circondariale di Buoncammino, lo sfogo scritto da uno dei ristretti che dopo un periodo di libertà é tornato ad essere un recluso.

 

La presa di coscienza, il coraggio, il cambiamento, la speranza. E poi la delusione, il dolore, l'abbandono di un percorso di reintegrazione difficile da portare a termine. La condanna a se stesso per una testa che non ha saputo smettere di commettere degli errori e, infine, la chiusura totale in un mondo proprio, nella prigione dei pensieri di una libertà perduta.

 

 

"Sono un uomo detenuto, come tanti altri nella mia condizione, con problemi vari ed angoscianti, prima relegati nella condizione del tutto è perduto, ove il tutto era negatività e utopia d’immagine. Poi aiutato a risolvere l’abisso delle mie intime scelte, aiutato a credere in me stesso, nelle persone, negli interlocutori, nelle istituzioni senza per questo mai vendere o svendere nulla.

 

Un uomo nuovo nella convinzione, nei sogni diventati quasi realtà allontanando con sudore e coraggio la fiamma del baratro di una vita vissuta senz’altro male. Un uomo che della lealtà ha saputo fare il proprio comandamento principe nei riguardi di se stesso e di chi in lui ha creduto e continua a credere.

 

Eppure la fragilità di queste riflessioni non sta nelle mie affermazioni, che qualcuno potrebbe definire teatralmente ad effetto, bensì nell’acutezza dell’imbroglio che tutti coinvolge e travolge.

 

Un uomo che ha saputo senza strumentalizzazione di sorta riacquistare quella credibilità andata derelitta e sconfitta nel passato, un uomo che a caro prezzo stava ritornando parte integrante della società di cui mi sento ancora soggetto in evoluzione costante.


I passi fatti in avanti, le progettualità, i raggiungimenti, il rispetto delle regole (di quelle che si conoscono), la lealtà custodita con la massima correttezza nei riguardi di me stesso, della mia famiglia, di mia figlia (nata dopo quattro mesi dal mio arresto)  mi fanno riivere nella serenità e nell' aspettativa che dopo circa quindici anni si sarebbe riunito e risanato il contesto familiare e sociale.

 

Ma nulla é accaduto secondo le mie attese. Quindi rieccomi nuovamente in queste umide quattro mura dopo una breve pausa o meglio un permesso prolungato di circa quattro anni.


Mi hanno stretto i polsi legando i miei nervi di uomo senza più dignità.

 

Hanno ascoltato la mia voce come un canto disperato di pietà. Sono stato condannato e mi sono condannato con la mia stessa sorte, ho tirato io la mia moneta solo con la mia coscienza.


Ma per la prima volta rifiuto la giustizia e mi incateno nella prigione dei miei pensieri e del mio dolore".

 

Lettera Firmata