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Rabbia, tristezza, talvolta sensazione di impotenza. Questi sono i sentimenti che ho visto negli occhi e nelle facce di molti lavoratori durante le tante manifestazioni alle quali ho partecipato. Sentimenti che a volte ho provato in prima persona. Manifestazioni il più delle volte organizzate per andare a rivendicare diritti che la legge dovrebbe automaticamente prevedere, ma nonostante questo la maggior parte delle volte non riconosciuti da chi governa le istituzioni. 

Principalmente non vengono riconosciuti perché siamo evidentemente di fronte a una crisi epocale della politica e delle istituzioni nazionali che oggi risultano ostaggio dell'usurocrazia dei Banchieri europei e Internazionali e pertanto hanno sempre meno potere decisionale nelle dinamiche interne ai mercati del lavoro imposti e condizionati dai grandi gruppi lobbistico-massonici facenti capo alle Multinazionali. E conseguentemente siamo anche di fronte a una strategia cinica e consolidata in tempi di crisi che è quella di indurre la rassegnazione in chi si oppone al cambiamento di questo sistema nella continua rivendicazione dei diritti. 

Strategia tesa a obbligare i lavoratori cassintegrati e disoccupati a continue ed estenuanti, sia in termini psico-fisici che economici, iniziative di lotta con risultati spesso insufficienti quando addirittura nulli. Una strategia che ha una finalità precisa: il cambiamento radicale dei rapporti tra “capitale e lavoro” con il progressivo indebolimento di tutte quelle garanzie e diritti che hanno accompagnato i lavoratori dall'approvazione dello Statuto dei Lavoratori nel 1970 a oggi.

Non è un caso che Fiat in questi anni abbia continuamente forzato la mano su questo tema approfittando della grave situazione di crisi e che il precedente governo con la Riforma Fornero abbia iniziato a introdurre nuove e pericolose norme sulle principali tutele, sul precariato e sugli ammortizzatori sociali. Per non parlare della Riforma delle Pensioni. Ognuno di questi punti meriterebbe certo un serio e lungo approfondimento per analizzare l'impatto reale sui lavoratori e immaginare le evoluzioni negative nel medio e lungo termine, ma l'impressione è che siamo solo all'inizio di un processo che sfruttando l'attuale situazione a livello economico e politico porterà i lavoratori italiani indietro di decenni nelle rivendicazioni sindacali. Un disegno non troppo celato in cui un capitalismo malato (ammesso che ne esista uno sano) tenta sempre più di scaricare il peso della crisi, da esso autoindotta o generata, sulle classi lavoratrici e meno abbienti in un'ottica di livellamento mondiale al ribasso dei diritti e delle tutele.

E in questo difficile contesto è abbastanza evidente che il vuoto generato dai partiti ormai incapaci di esprimere una visione ben definita e radicale della società e di un sindacato sempre più sulla difensiva e obbligato alla limitazione dei danni, aggrava pericolosamente la situazione.

Anche gli imponenti e inarrestabili flussi migratori facilitano questo processo al punto che spesso mi son chiesto se l'instabilità dei paesi d'origine dei migranti, oltre che generata per lo sfruttamento da parte dei paesi imperialisti delle risorse naturali un po’ come succede nei paesi Mediorientali, non faccia parte di un preciso disegno di livellamento planetario. E se queste riflessioni possono sembrarvi eccessivamente “complottiste”, termine che ultimamente va molto di moda nei governi occidentali, prendetevi la briga di condurre una piccola indagine sul web per verificare quante e quali sono le grandi multinazionali che determinano le guerre e l'economia mondiale partendo dal controllo delle materie prime, delle risorse energetiche fino a quelle degli armamenti. Potreste stupirvi del risultato.