sardegna-in-coda-ai-parametri-ue-sul-lavoro-la-ricetta-di-sel-and-quot-ora-ridurre-la-flessibilit-and-agrave-and-quot

In Sardegna, solo 55 persone su 100, tra i 20 e i 64 anni, hanno un’occupazione. Le altre 45 non lavorano. L’Unione Europea indica come obiettivo da raggiungere nel 2020 il 75% di occupati in questa fascia di età, perché le persone tra i 20 e i 64 anni dovrebbero avere un lavoro e un reddito: in questo consiste la piena occupazione, che si traduce in una società inclusiva e produttiva. Alcuni Paesi, come la Germania o la Svezia, hanno già superato questa soglia, mentre l’Italia è ferma al 61% ed è tra i Paesi con il livello di occupazione più basso in Europa (è terzultima) e la Sardegna è rimasta ancora più indietro. Se queste sono le cifre che descrivono uno dei problemi più gravi dell’Italia e della Sardegna – a cui sono legate le pesantissime difficoltà di molte famiglie – le risposte della politica devono essere all’altezza della gravità del problema. Non sarà l’antipolitica ad affrontare la sfida cruciale, quella di creare occupazione e migliorare la qualità del lavoro: potrà farlo solo la politica, quella seria e capace, nel Parlamento, nel Governo e nella nostra regione. Il lavoro è al centro del programma di SEL, ne costituisce la radice più profonda, perché è attraverso il lavoro che si costruiscono le condizioni di vita delle persone e si dà senso alla cittadinanza.

Una priorità di SEL è modificare la riforma del mercato del lavoro del governo Monti per ridurre le forme contrattuali “flessibili”, che alimentano una precarietà dannosa per l’economia e per le persone; una precarietà che rende frammentati e fragili i percorsi lavorativi e rappresenta un fattore di debolezza della nostra base occupazionale (instabile e poco qualificata), da cui invece dovrebbe svilupparsi la capacità di innovazione del sistema produttivo della Sardegna. Il cuore del nostro sistema produttivo è rappresentato dalle piccole imprese, quelle artigiane e quelle cooperative, che hanno retto alla crisi con fatica e sacrifici e che con una buona politica pubblica di sostegni mirati possono contribuire a riattivare l’economia e l’occupazione. I 15 milioni di euro spesi da questa giunta per i tirocini sono stati uno spreco inaudito, perché non si traducono in un lavoro e neppure garantiscono formazione: la stessa somma investita per incentivare i contratti di apprendistato, di cui i tirocini sono gli antagonisti più subdoli, avrebbe potuto dare un lavoro vero e una formazione vera all’interno delle piccole imprese. E’ solo un esempio delle tante scelte politiche sbagliate e delle risorse pubbliche sprecate.

E’ urgente promuovere una buona occupazione per i giovani, ma non possiamo ignorare che occorre in primo luogo offrire loro più istruzione e formazione. Questo significa scuole a tempo pieno e diritto allo studio effettivo fin dalle scuole secondarie, perché il destino dei giovani non deve dipendere dalle condizioni socio-economiche delle famiglie. Serve una nuova legge organica sulla formazione professionale e sui servizi per l’impiego, perché chi cerca un lavoro e chi cerca un lavoratore dovrebbe poter scegliere la proposta migliore, attraverso una rete efficiente di servizi e non con la propria rete di relazioni personali. Così si promuove il merito e un accesso democratico alle opportunità.