reportage-buoncammino-uno-sguardo-dentro-foto

Fare i conti con quello che non ci riguarda, vedere i non-posti  che ci circondano, le vite che non ci appartengono: è un dovere questo, per chi si considera un essere umano. Ci sono eccellenze da onorare ma anche mancanze da riconoscere. C’è un luogo che in assoluto è il simbolo dell’errore. Il carcere.

Penitenziario, galera, casa di detenzione, gattabuia. Tanti modi per chiamare un’unica realtà.

Qui, a Cagliari, si chiama solo Buoncammino. Guarda la Photogallery

Appena entrati, nel cortile interno, un’enorme targa: “La responsabilità penale è personale. L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Articolo 27 della Costituzione.

Nella realtà molti istituti di pena sono luoghi di corruzione, degrado, ingiustizia e violenza. Le condizioni di vita a volte sono disumane e si resta ben lontani dallo scopo rieducativo che queste strutture dichiarano di avere.

Ma non è sempre così. Il nostro Buoncammino lo dimostra. Parlare di eccellenza è certamente fuori luogo, ma si è lontani da quella realtà fatta di soprusi e incuria, malgrado i noti problemi che non si possono ignorare.

Nella casa circondariale sul viale alto della nostra città ci sono circa 500 internati, oltre 100 in più della capienza regolare (380). Si intuisce bene l’esistenza di un problema: il sovraffollamento. L'aumento dei detenuti ha provocato un esubero inarrestabile che non rende semplice l’organizzazione della vita all’interno della struttura.

Ma a Buoncammino qualcosa si fa, ed è giusto parlarne insieme alle voci che denunciano quello che non va. Campi di calcio e pallavolo, una biblioteca ben fornita. C’è un coro permanente e corsi periodici di informatica. I detenuti possono spendere circa 500 Euro al mese ed ai familiari è permesso introdurre mensilmente 20 kg di merce. Chi vuole può possedere un notebook senza connessione ad internet. Inoltre un magazzino gestito direttamente dalla Caritas fornisce indumenti gratuiti.

Organizzare qualsiasi tipo di iniziativa vuol dire però fare i conti con una comunità fra le più eterogenee, con persone spesso solo di passaggio, altre psicologicamente instabili o gravemente malate, tutti individui che non possono garantire una frequenza costante a corsi e laboratori.  Molti sono i tossicodipendenti il cui recupero è ostacolato dall’assenza di strutture specifiche. Il Centro diagnostico terapeutico é sovraffollato di pazienti con gravi patologie che richiedono cure farmacologiche e terapie specialistiche. La struttura non è spesso in grado di affrontare le emergenze che vengono sistematicamente rinviate ai servizi della Asl.

Per quanto riguarda il lavoro, quando il detenuto non può essere inserito nei lavori domestici dell'Istituto, vista la carenza di posti lavoro, può richiedere il trasferimento in una Casa di Reclusione all'aperto (c.d. Colonia Agricola). Per essere idoneo  a tale tipo di attività il detenuto deve avere una sana e robusta costituzione,  non deve essere considerato pericoloso e deve avere un residuo pena non superiore ai 4 anni. Questi vincoli escludono la maggior parte della popolazione carceraria dalla possibilità di essere impiegata.

E’ quindi poco corretto ridurre la mancanza di iniziative alla sola volontà dei diretti amministratori delle strutture. L’attività lavorativa dipende strettamente dai fondi a disposizione che a causa della loro insufficienza la rendono una concessione limitata a pochi più che un diritto riconosciuto con lo scopo di agevolare il reinserimento sociale. Per questo nascono progetti come Gagli-Off. Il programma coinvolge gli autori di reati gravi: omicidio, rapina e violenza sessuale. Con incontri, colloqui e test sono state fornite le basi per un’assunzione di responsabilità. I selezionati sperimentano il reinserimento nella società, superando la possibilità che commettano nuovi reati.

Pasti, pulizia e attività sono a livelli accettabili. I parenti degli internati chiedono una migliore gestione degli spazi destinati alle visite e soprattutto una burocrazia meno farraginosa. E’ indispensabile incrementare il personale e procedere all’inserimento di figure specialistiche, ora assenti, che siano in grado di portare avanti terapie psicologiche e rieducative su detenuti particolari, con storie individuali di privazione. Persone che in certi casi alla loro libertà preferiscono un letto e un pasto sicuro in carcere.

Puntare il dito, e sparare parole di disappunto è quello che di solito riesce meglio. Mentre non ci si accorge che i problemi più grossi queste persone non li hanno dentro, ma fuori.