la-giunta-pigliaru-ha-fallito-serve-urgentemente-uno-scossone
Per giustificare una grande mobilitazione Sindacale e Popolare contro l'attuale Amministrazione Regionale, basterebbe il nefasto epilogo della vicenda iniziata col famoso accordo con lo Stato Centrale nel 2014 in virtù del quale la Regione Sardegna si era impegnata, per decisione del duo Pigliaru-Paci, a ritirare i ricorsi pendenti alla Corte Costituzionale sulla vertenza entrate, ovvero sui soldi dei contribuenti sardi, in cambio della promessa per gli anni successivi di poter spendere le risorse presenti in bilancio (preservandone però il pareggio) senza vincoli o intromissioni di sorta da parte Romana.
 
Oggi, come è stato scritto e certificato pressoché ovunque, con il respingimento da parte della Corte Costituzionale del ricorso della Regione Sarda sugli accantonamenti annualmente riscossi dallo Stato, dove è apparso evidente il subdolo aggiramento del prima menzionato accordo, è stato decretato il fallimento della dottrina Pigliaru-Paci. Una dottrina che già altri esponenti d'opposizione e, addirittura, di maggioranza come l'ormai ex Assessore Regionale, Paolo Maninchedda, avevano giudicato se non supina, quantomeno imprudente e profondamente ingenua nei confronti di uno Stato patrigno storicamente irrispettoso delle prerogative della Regione Autonoma della Sardegna e dei suoi abitanti.
Quegli accordi fallimentari, che altre Regioni hanno scelto di non sottoscrivere mantenendo i propri ricorsi, oggi risultati vincenti, costeranno ai sardi centinaia di milioni di euro.
Non a caso, visto che di  ingenuità è sempre più complicato parlare, sono sempre di più coloro che ritengono l'atteggiamento della Giunta Regionale totalmente asservito e subordinato a quello che viene deciso a Roma, a livello Centrale, sulla testa dei sardi e della Sardegna.
 
Tuttavia, quando l'attuale squadra di professori fu eletta alla guida della Regione, molti sardi avevano sperato in un forte cambio di rotta, in uno scossone benefico e nell'avvio di una nuova stagione positiva per la Sardegna, finalmente affidata alle mani di professionisti, luminari dell'economia e del sapere, in grado di costruire le basi per una riscossa della società sarda. 
 
A oggi, nessuna di queste speranze è stata ricambiata.
Nondimeno, la mancata concretizzazione della nuova continuità territoriale nei giorni scorsi con il bando inerente le principali tratte da e per Cagliari, Roma e Milano, andato deserto, non è solo un incidente di percorso, ma è l'ennesimo sintomo di una malattia, quella del fallimento perpetuo che l'attuale giunta sta conseguendo in tutti i settori chiave dell'economia isolana.
 
Peraltro, i costi dei trasporti, oltre i ragionamenti per la CT, restano ancora oggi uno dei principali gap irrisolti che incidono pesantemente nell'economia della Sardegna, dal settore turistico a ogni altro settore produttivo.
 
Stesso discorso nel settore industriale. Lo sanno bene i lavoratori Alcoa, per anni sballottati tra proclami, promesse e iter infruttuosi come quello indicato dal Presidente Pigliaru, guarda caso proprio a fine 2014, che indicava nella superinterrompibilità lo strumento chiave per rendere la produzione energivora di alluminio competitiva e quindi appetibile per ogni potenziale acquirente. Strumento puntualmente cassato dall'UE (molti anche nel Sindacato avevano messo in guardia il Presidente dai rischi di tale scelta) nelle proporzioni necessarie per essere realmente utilizzabile. Solo da un anno a questa parte, con l'avvento del Ministro Calenda, per una fortuita circostanza giudiziaria che ha lambito la predecessora, si è cambiato direzione perseguendo strumenti concretamente applicabili, anche se ancora da attuare e definire dal punto di vista legislativo-normativo. Intanto i lavoratori e le rispettive famiglie hanno inutilmente perso anni interi, vivendo in una condizione di povertà relativa e spesso, ancora peggio, assoluta.
Ma ragionamenti analoghi si potrebbero fare per tante altre vertenze industriali sarde nelle quali la Regione ha oscillato da posizioni di spettatrice assente a posizioni di presenzialità condita da totale ininfluenza ai fini della risoluzione finale. 
Ma mai di protagonismo reale e incisivo. 
 
Eppure sarebbe bastato copiare da altri Presidenti di Regione come, ad esempio, la Serracchiani in Friuli Venezia su complicate vertenze stile Electrolux, per capire come si esercita il proprio ruolo politico sulle partite chiave che riguardano la vita e il futuro dei propri cittadini. 
 
E invece no: Alcoa; Keller; Saipem; Chimica Verde; EurAllumina, Polar, Ex Ila, Enel-Grazia Deledda etc.. etc.. chiuse, a rischio chiusura, a rischio ridimensionamento o a rischio ripartenza e/o consolidamento.
 
E che dire della situazione della Sanità Sarda, con l'accentramento di un enorme potere nelle mani di un solo uomo scelto per concretizzare un piano di razionalizzazione che tutto tiene conto, meno che delle peculiarità delle comunità isolane (molte afflitte da spopolamento) e delle reali problematiche che in tema di spreco di risorse economiche pubbliche, storicamente tengono banco. Ad esempio, come ha fatto più volte rilevare la Cisl Regionale per bocca del Suo Segretario, Ignazio Ganga, l'abnorme incidenza della spesa farmaceutica derivata dalla ricettazione; parliamo di oltre 19.000.000 di ricette somministrate nell'isola.
 
Ma la sanità non può sottostare solo alle ciniche e asettiche regole dei vincoli di bilancio. Mantenere i presidi ospedalieri con il giusto equilibrio per garantire una adeguata offerta sanitaria ai cittadini, significa anche contribuire a preservare le comunità umane della Sardegna sottoposte a un inesorabile inurbamento verso le coste e i principali centri e più in generale farei i conti con lo spopolamento.  
 
Insomma, si potrebbero citare mille esempi di quello che non va e di ciò che non è stato adeguatamente affrontato in ogni ambito della vita sarda. 
Ad esempio richiamando le fantomatiche Politiche Attive per il Lavoro che nella sardissima Sardegna hanno assunto denominazioni inglesizzate come “Flex Security” o acronimi come “Cris”, utilizzati per celare provvedimenti inadeguati che non hanno creato lavoro solido, stabile e duraturo. Ma sono risultati semplici interventi tampone che nemmeno lontanamente hanno sostituito le precedenti  Politiche Passive (fortemente ridimensionate con il Jobs Act di Renzi), e hanno anzi  contribuito a rendere il Mercato del Lavoro sardo ancora più precarizzato e votato all'instabilità.
Certo, è stato introdotto il Reddito di Inclusione Sociale, importante strumento di contrasto alla povertà assoluta che però è insufficientemente finanziato e che in assenza di un'Agenzia per il Lavoro (ASPAL in Sardegna) realmente funzionante, ovvero che istruisca le politiche attive per i beneficiari, rischia di diventare, come i precedenti, uno mero provvedimento di politica passiva assistenziale.
Oppure parlando dell'importante (per l'isola) settore zootecnico con i Pastori di Sardegna nuovamente sul piede di guerra per il prezzo del latte intollerabilmente basso e nessun genere di provvedimento strutturale a delle problematiche che si trascinano ormai da molti anni. 
 
Stendiamo un velo pietoso, ovviamente, sulla gestione dei consorzi di bonifica e in particolare quello del basso Sulcis con stipendi arretrati per i lavoratori, malfunzionamenti e servizi molto discutibili agli agricoltori del territorio.
 
E sulla scarsa competitività del settore agricolo, che non può ovviamente essere addebitata totalmente a Pigliaru, cosa ha fatto questa amministrazione? Continuiamo a importare la stragrande maggioranza dei prodotti che rappresentano il nostro fabbisogno e che finiscono nelle nostre tavole. Il settore agricolo, importante volano di sviluppo, non trova ancora sufficiente appoggio perché manca una reale visione di sviluppo a medio e lungo termine e mancano politiche strutturali di coordinamento, gestione e sostegno alle aziende.
Altro, drammatico, ragionamento andrebbe fatto per il settore dell'edilizia che dal 2008 al 2016 ha perso oltre 36.000 posti di lavoro (ovvero 36 stabilimenti Alcoa) e che negli ultimi anni ha continuato inesorabilmente, anche a causa della burocrazia e dei vincoli normativi e paesaggistici, a sprofondare. 
 
E, bisogna dirlo, storicamente, senza la ripartenza dell'edilizia, non esiste ripartenza strutturale dell'economia.
 
Di fronte all'evidenza degli esempi sopracitati (alcuni tra i tantissimi che si potrebbero fare ma che per non tediare i lettori è meglio ridurre al minimo indispensabile), prescindendo da analisi e strumentalizzazioni di carattere politico-elettorale – quelle le lasciamo a chi fa o tenta di fare politica-, è chiaro che sia arrivata l'ora di dare un forte scossone a questa giunta ingessata e arrovellata su se stessa, decimata dalle defezioni politiche di alcuni partiti che hanno contribuito alla vittoria del centrosinistra nel 2014, e con un Presidente in chiara difficoltà al punto di, talvolta, fare tenerezza (quasi dispiacere) ai suoi interlocutori per la manifesta impotenza dimostrata nell'affrontare le questioni dirimenti la vita dei sardi.
Sarebbe auspicabile, dunque, uno sciopero generale, come quelli che si organizzavano un tempo e che, per essere realmente efficace, solo il Sindacato nell'interezza delle principali confederazioni potrebbe convocare. 
 
Il tutto per dare forte segnale che serva a svegliare innanzitutto le coscienze dei cittadini e immediatamente dopo quelle di coloro che governano, sulle reali priorità del popolo sardo.