Secondo il responsabile della Digos di Sassari, Mario Carta, esiste una lunghissima serie di intercettazioni telefoniche in cui Sultan Wali Khan, 41 anni, capo della comunità pakistana di Olbia, dove gestisce un bazar, conversando con i familiari parla di vendetta e di omicidi. In realtà, secondo il diretto interessato si tratta di affermazioni fatte in un moto d'impeto nei confronti di ex soci, accusati dal commerciante pakistano di essere i responsabili dell'inspiegabile ritrovamento di armi ed esplosivi all'interno dell'abitazione della sua famiglia.
È quanto emerso oggi, nell'aula bunker all'interno del carcere sassarese di Bancali, al processo a carico di undici cittadini pakistani arrestati nell'aprile 2015 a Olbia e in diverse parti d'Italia con l'accusa di aver costituito una cellula di Al Qaeda e di essere gli organizzatori di alcuni attentati, tra i quali la drammatica strage al mercato di Peshawar dell'ottobre 2009.
Di fronte alla Corte d'assise presieduta dal giudice Pietro Fanile, a latere Teresa Castagna, al pm Danilo Tronci, all'Avvocatura generale dello Stato, che rappresenta la presidenza del Consiglio dei ministri dopo la sua costituzione di parte civile, e al vastissimo collegio difensivo, è stato ancora il dirigente della Questura sassarese a tenere banco. Carta, che aveva gestito le attività investigative, ha continuato a ripercorrere l'attività della presunta cellula di cui Khan sarebbe il capo. Un convincimento maturato in seguito all'analisi di migliaia di trascrizioni ambientali e telefoniche. Il processo proseguirà il 19, il 20 e il 21 giugno.